Editoriale

di Luigi Fiorentino - Presidenza del Consiglio dei Ministri
e Elisa Pintus - Università della Valle d’Aosta


Il Performance management nelle istituzioni pubbliche dopo la pandemia da Covid-19. Nuovi paradigmi fra riforme e processi di cambiamento

di Luigi Fiorentino – Presidenza del Consiglio dei Ministri

e Elisa Pintus – Università della Valle d’Aosta

Il Performance management nelle istituzioni pubbliche dopo la pandemia da Covid-19. Nuovi paradigmi fra riforme e processi di cambiamento

 

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iflettere su modelli e tecniche di gestione strategica delle organizzazioni e delle risorse umane nelle istituzioni pubbliche è l’obiettivo prioritario dello Special Focus “Il Performance management nelle istituzioni pubbliche dopo la pandemia da Covid-19. Nuovi paradigmi tra riforme e processi di cambiamento”.

Si vuole portare all’attenzione di studiosi e tecnici un tema che ha avuto, a fasi alterne, molto successo, ma che crediamo non goda della giusta rilevanza fra gli studiosi.

Gli straordinari eventi degli ultimi tre anni accaduti a livello internazionale hanno certamente determinato uno stato di fragilità, almeno potenziale, delle amministrazioni e delle persone. Vi sono stati eccezionali eventi e altrettanto eccezionali risposte agli eventi da parte delle aziende pubbliche e dei singoli individui. Si pensi alla strutturazione del telelavoro durante l’espandersi e il perdurare della pandemia di Covid-19.  Indubbiamente, non avremmo mai immaginato, tre anni fa, che sarebbe stata realistica una “sperimentazione” su così larga scala e per un arco temporale così ampio del telelavoro. E si può affermare che si tratta di una tendenza non reversibile. C’è un prima e un dopo Covid-19 per le persone e, quindi, per i sistemi a supporto della organizzazione del lavoro, anche quando non si sono determinate nuove regole nei rapporti di lavoro dopo la pandemia o, peggio, si è tornati -in termini di regolazione- allo status quo precedente.

Riforme e processi di cambiamento sono al centro dell’attenzione oggi più che mai e il performance management (Pm) può essere elemento di snodo fondamentale per cambiare lo stato delle cose in meglio.

Vi è una variabile critica che determina un substrato fondamentale alla riflessione su come si possa innovare nei paradigmi sul performance management ed è collegata al grande impulso che si sta dando ai cambiamenti tecnologici e alla modificazione in chiave digitale dei processi di lavoro, della dematerializzazione, del reengineering delle attività, e della riorganizzazione delle relazioni fra gli attori interni ed esterni alle istituzioni.

Telelavoro e uso della tecnologia nella produzione dei servizi pubblici e delle attività necessarie all’erogazione dei servizi costituiscono un punto di non ritorno ed un avanzamento non neutrale nel ridefinire il substrato tecnico all’organizzazione e alla divisione del lavoro nelle istituzioni (si pensi al ruolo che già sta giocando l’applicazione dell’Ia alla Pa). Qui però, ci si vuole concentrare sul performance management come strumento che può rimodulare, in modo strutturato e rigoroso, la relazione azienda – uomo (ma anche azienda – uomo – società se ci si interroga sulla valutazione partecipativa aperta agli stakeholder esterni) anche dopo gli stati di crisi o nel perdurare degli stessi. Sicuramente è di estrema attualità il tema della coerenza fra i diversi strumenti che creano virtuose condizioni di lavoro e misurazione del contributo individuale o di gruppo.  Il capitale umano nelle istituzioni pubbliche merita che studiosi e organizzazioni riflettano su quanto è accaduto negli ultimi anni e propongano meccanismi di riconnessione organica fra le sperimentazioni avvenute, e magari non volute consapevolmente fino in fondo, e la valorizzazione delle esperienze.

Inversioni di tendenze per troppo tempo consolidate, nuovi paradigmi, nuova tensione proattiva per fare quel salto di innovazione necessario oggi è ciò che si vuole portare in evidenza con lo Special Focus. Vanno anche rammentati fenomeni generali nel mondo del lavoro sempre crescenti, aumentati in modo esponenziale durante l’acme della pandemia, e certamente allarmanti a livello mondiale, quali le dimissioni del personale  ancor prima di aver trovato un nuovo lavoro, c.d. fenomeno Great Resignation[1], o il Quiet quitting (anche definito la fase due delle Grandi dimissioni) cioè “uscire in silenzio” in cui si sviluppa una posizione di “impasse” motivazionale e di performance  che porta la persona a “fare un passo indietro” pur senza  lasciare il lavoro.

Nel mondo oggi le persone, soprattutto i giovani, cioè il target su cui più si investe, cercano un equilibrio tra vita professionale e vita privata, opportunità di avanzamento di carriera, trasparente e reale valutazione delle competenze acquisite e investimento in nuove competenze, equilibrio di genere, lineari percorsi professionali come antidoti agli strutturali problemi che investono molte delle amministrazioni pubbliche: lo stress come costante, il burnout, il turnover aziendale.

Le riforme delle istituzioni pubbliche, e i processi di cambiamento ad esse coerenti, non sembrano cogliere quanto sta accadendo e quanto sta alimentando e, come appena evocato, modificando i bisogni dei dipendenti pubblici. O, più probabilmente, la regolazione esistente è coerente ai bisogni dei lavoratori e delle aziende pubbliche ma non viene interpretata nel modo più congruo. La performance e il performance management possono essere davvero le leve per cambiare le amministrazioni pubbliche.

I sistemi di misurazione e valutazione della performance in ambito pubblico, quali strumenti di supporto al cambiamento organizzativo e allo sviluppo individuale, sono tematica di sempre maggiore interesse per diversi target di attori, interni ed esterni alle amministrazioni pubbliche ma anche per la società civile sempre più “attrezzata” per conoscerne e valutarne l’agire.

Seppure l’interesse scientifico sia storicamente emerso da moltissimo tempo, è durante l’affermarsi dei modelli di New Public Management prima e di Public Governance successivamente, quindi negli ultimi 30 anni, che si inizia a lavorare con modelli sempre più rigorosi e sistematici nelle istituzioni pubbliche sulla produzione, utilizzazione, rendicontazione e gestione delle informazioni sulla performance. Tale tendenza ha subito un’accelerazione in virtù della introduzione dell’Ict perché è diventato meno oneroso -sotto il profilo economico- e più semplice raccogliere ed elaborare dati e informazioni che sono variabili critiche per la costruzione dell’approccio di tipo performance management. Altrettanto importante è stato il superamento del tradizionale modello di controllo burocratico sull’impiego delle risorse con un consistente utilizzo dell’approccio attento ad aumentare il grado di autonomia decisionale. Tutto ciò ha velocizzato la modificazione dal modello ammnistrativo tradizionale verso quello manageriale attento alla strutturazione di meccanismi di responsabilizzazione sui risultati conseguiti. Oggi, con l’affermarsi dei modelli di governance multilivello e di valorizzazione del ruolo degli stakeholder, assume rilievo fondamentale nel performance management, e diventa traiettoria evolutiva specifica, l’attenzione alle forme di valutazione partecipativa e di autovalutazione.

Il coinvolgimento degli stakeholder nel processo di valutazione della performance è funzionale al perseguimento delle finalità intrinseche dei sistemi di valutazione delle prestazioni (performance management)[2]. Attraverso tale coinvolgimento è possibile cogliere i vari significati che i diversi stakeholder attribuiscono ai risultati conseguiti dall’amministrazione e la fiducia dei cittadini nelle amministrazioni pubbliche.

Si può affermare che la capacità di creare valore delle istituzioni pubbliche dipenderà dalla strutturazione rigorosa di modelli di Pm che includano, necessariamente, la valutazione partecipativa e che questa sarà la leva per operare creando, finalmente, condizioni di trasparenza e responsabilizzazione nei decisori politici e nei dirigenti pubblici.

È fondamentale che gli studiosi attualizzino il concetto di performance (organizzativa e individuale) e il performance management definendo i confini di strumenti innovativi capaci di patrimonializzare le sperimentazioni avvenute nelle istituzioni pubbliche, soprattutto durante la pandemia di Covid-19.

È importante governare il tempo nel Pm, e nelle fasi in cui si articola il ciclo della performance compresa la valutazione e il Pnrr può essere un formidabile volano alla crescita di consapevolezza fra decisori politici e management della criticità insita nel governare il tempo.

Ma sarà interessante ragionare sui fallimenti che le evidenze empiriche hanno messo in luce o che emergono dalla ricerca applicata, anche nelle esperienze europee e internazionali, oltre alla proposizione di nuovi paradigmi coerenti con i nuovi modelli di governance e management nelle amministrazioni pubbliche in relazione alle riforme istituzionali.

In Italia, il Pm è oggi al centro di un profondo processo di riforma istituzionale che coinvolge, a cascata, le istituzioni pubbliche a tutti i livelli di governo con il Piao, Piano Integrato di Attività e Organizzazione, che definisce una relazione biunivoca fra governance e programmazione, fra politiche e governo del tempo. Ci si interroga su come il Piao e, più in generale, il Pm possano essere artefici di reali e duratori processi di cambiamento, su quali modelli di governance siano più coerenti alla valorizzazione del performance management, su come si possano costruire processi di programmazione dell’azione pubblica e coerenti obiettivi di performance.

Da decenni si assiste ad un proliferare di adempimenti amministrativi richiesti alle istituzioni pubbliche, che rallentano l’esecuzione di procedimenti e incidono sulla qualità dei servizi resi ai cittadini. Il Piao promuove azioni volte a semplificare gli adempimenti a carico delle istituzioni e ad adottare una logica integrata e di massimizzazione dell’efficacia con un rinnovamento nelle procedure. Il Piao potrebbe essere una sorta di “testo unico” della programmazione delle politiche del personale, nel quale convergono gli obiettivi di posizionamento strategico e sviluppo delle attività, di programmazione e gestione degli organici, di adeguamento dei modelli organizzativi, di lavoro e di semplificazione dei processi e di miglioramento della trasparenza.

Il Piao può essere opportunità per ripensare in modo rigoroso alle modalità di definizione degli obiettivi, dei modelli organizzativi e dei sistemi di divisione del lavoro. Il finalismo sembra essere quello di raccogliere i diversi strumenti di programmazione attualmente previsti dalla normativa: Piano delle performance, Piano operativo del lavoro agile (Pola), Piano triennale dei fabbisogni di personale (Ptfp), Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza (Ptpct), etc., ed “assorbirli” in un unico documento di programmazione e controllo.

Il Piano può essere inteso come uno strumento di Pm costruito anche secondo una logica “semplificata”, in quanto riunisce tutta la programmazione, finora inserita nella pluralità di strumenti che, per alcuni versi, hanno rappresentato delle “aree isolate” di progettualità che non si incontrano e non si integrano nella singola istituzione. Pur essendo orientato al futuro, dato l’orizzonte temporale triennale definito dalla normativa, il Piao non può prescindere dal presente e dal passato di ogni singola istituzione. Dovrà, dunque, essere accompagnato dall’analisi degli strumenti, prima di tutto, di performance management già in essere, necessari a comprendere anche la compatibilità e la potenziale contestualizzazione di quanto in essere. Nonostante si ritenga che il Piao sia anche uno strumento di semplificazione, è opportuno specificare che tale strumento gestionale ed organizzativo, richiede l’apporto delle strutture di vertice politico ed amministrativo nel costruire quella coerenza fra politiche pubbliche e agire gestionale oggi ineludibile: modello di riorientamento verso una logica di programmazione e governance.

Lo Special Focus è anche una prima risposta ad ambiti di indagine necessari se si intende considerare la leadership come tratto distintivo in relazione agli obiettivi e agli strumenti del performance management. In Italia, la valutazione dei risultati è stata considerata, per troppo tempo, una attività da oggettivizzare che leniva l’assunzione di responsabilità nell’interpretazione dei risultati da parte dei dirigenti così come la loro capacità di gestione delle persone per condurle al raggiungimento dei risultati[3]. I canoni della leadership, e la connessione diretta fra soft skills e architetture rigorose di performance management, saranno nel futuro una direttrice importante per contestualizzare l’approccio di tipo Pm nelle istituzioni pubbliche e sviluppare modelli coerenti di welfare aziendale.

È assolutamente necessario creare una relazione sinallagmatica fra misurazione e valutazione della performance e l’interpretazione della leadership può essere l’anello di congiunzione necessario ad operare in tal senso.

L’auspicio è quello che gli studiosi disegnino e valorizzino rigorosi canoni gestionali volti a coniugare: complessità dei processi ammnistrativi e gestionali, risultati dei dipendenti pubblici e performance organizzativa; pianificazione strategica e performance organizzativa; relazione fra input, output e outcome per “mettere al centro” i portatori d’interesse dei servizi pubblici finali.

Secondo l’approccio multidisciplinare e lo sguardo critico e propositivo propri della visione di RIPM, il presente numero approfondisce l’esame, già condotto in numeri precedenti, dei sistemi di misurazione e valutazione della performance in ambito pubblico, quali strumenti di supporto al cambiamento organizzativo e allo sviluppo individuale.

I due contributi della sezione “Special Focus” esplorano così il concetto di performance (organizzativa e individuale) e il performance management, partendo da sperimentazioni condotte all’interno di istituzioni pubbliche di appartenenza degli autori.

Il primo contributo, dal titolo “Valutazione della performance basata su aspettative: indagine comportamentale per l’individuazione dei bias in atto e la formulazione di possibili interventi”, restituisce le evidenze empiriche di un’analisi statistico-comportamentale del sistema di misurazione e valutazione della performance dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). Assumendo quest’ultimo come caso studio, gli Autori (Marzo, Cafaggi e Colasanti) indicano alcune linee di riflessione nella “comprensione dell’incidenza di errori sistematici di giudizio e di modalità in cui tali errori cognitivi influenzano le valutazioni delle performance individuali nelle organizzazioni del settore pubblico”. Muovendo dall’idea di fondo che “le nostre decisioni sono in gran parte inficiate da errori di ragionamento, e quindi di giudizio”, la premessa metodologica della traiettoria di ricerca proposta è che “la presenza di bias distorca il processo valutativo”. Dall’analisi comportamentale svolta, dall’esame del rapporto tra organizzazione, valutatori e valutati e le relative aspettative, emergono “alcune debolezze del processo valutativo”. Viene suggerita, a livello di prospettiva futura, “un’implementazione sperimentale (…) apportando alcune modifiche sia agli strumenti utilizzati sia all’intero processo di valutazione e monitorando l’efficacia di tali interventi comportamentali effettuati parallelamente ad un percorso formativo riguardante la valutazione di performance”.

Anche il secondo articolo dello Special Focus, dal titolo “Cambiamento organizzativo e accettazione del sistema di misurazione e valutazione della performance da parte del personale tecnico- amministrativo di una università pubblica italiana”, utilizza il metodo del caso di studio. In particolare, il lavoro mira a “rilevare il grado di accettazione dei sistemi di misurazione e valutazione della performance da parte del personale tecnico-amministrativo di un’università”, segnatamente dell’ateneo di cui gli Autori (Nisio, Pallini e Romanazzi) sono membri. Nelle premesse metodologiche si evidenzia che nell’istituzione esaminata, l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, sono stati “sviluppati contestualmente processi di introduzione ed evoluzione della misurazione e valutazione della performance e di un nuovo modello organizzativo”. Le ipotesi di ricerca si basano su un questionario somministrato, per più anni, al target di riferimento. I risultati dell’indagine confermano la relazione tra la percezione del sistema di performance management e il modello organizzativo. Inoltre, mostrano come “l’efficace funzionamento di un sistema di misurazione e valutazione della performance non può prescindere dalla condivisione degli obiettivi strategici dell’istituzione da parte del personale che, attraverso gli obiettivi individuali ad esso attribuiti, concorre alla loro realizzazione”.

Nella sezione dialoghi della Rivista, il saggio “L’ipotesi dello smart contract nella pubblica amministrazione. Assetti di governance dell’innovazione digitale” si sofferma su due precondizioni o fattori di contesto che possono contribuire positivamente all’estensione in ambito pubblico: “il modello programmatico governativo nazionale e il progressivo recepimento da parte del nostro ordinamento del modello tecnologico blockchain”. Dopo una disamina della digitalizzazione della Pa in Italia e della “rivoluzione tecnologica” della rete blockchain, e un’analisi della struttura tecnica e normativa di questo contratto “intelligente”, l’Autore (Spina) mette in evidenza i “vantaggi operativi” che potrebbero derivare nel contesto del sistema nazionale dei contratti pubblici.  Se “il percorso di attuazione dello smart contract nella Pa è ancora in divenire”, in sede di conclusioni sono messi in rilievo i profili critici della sicurezza, dell’identità delle parti e della tutela dei dati informatici con il suggerimento di un possibile e futuro approfondimento.

Sempre nella medesima sezione, l’articolo “Strategia nazionale delle aree interne e ambiti ottimali di protezione civile: una sinergia possibile per l’aumento della resilienza territoriale” si pone in continuità, con un tema già oggetto dello Special Focus del Vol. 3 n. 2 |2020 della Rivista. Il contributo mette in relazione – individuando punti di contatto (esistenti o implementabili) tra – due modelli di governance: la strategia nazionale delle aree interne (Snai) e gli ambiti territoriali ed organizzativi ottimali di protezione civile. Il metodo proposto si fonda sull’approccio “di tipo performance-based, ovvero individua una serie di indicatori di resilienza territoriale che consentano di verificare (…) l’efficacia delle misure adottate”. L’Autore (Berni) si concentra su “alcuni casi studio concreti e reali relativi alla Regione Umbria, territorio in cui in questi anni sono state condotte esperienze” nei macrotemi di riferimento (Snai, ambiti ottimali, indici di resilienza).

Nella sezione Close up della Rivista, l’articolo “A Model of Cultural Intelligence and Social Participation to Improve the Effectiveness of Public Policies in Italy”, presenta un modello di “Cultural Intelligence – CI, Governmental Intelligence – GI, and Social Participation – SP (Cigisp)” per migliorare l’efficacia delle politiche pubbliche. Secondo l’Autore (Trindade De Angelis), questo modello è utile per identificare “how learning by comparison with other values, beliefs, and assumptions (CI), and the use of KM-GI Practices, leads to a better quality of social participation”. Fornisce “a strategy for improving the quality of social participation by opening the process of creation of knowledge and decision-making. The internal actors should also go through a process of learning with other cultures, which is fundamental in an increasingly globalized and complex   world”. È un modello che mostra che “the exchange of knowledge between state and society, fueled by learning from other countries, can shift the focus of government action towards the supremacy of the public interest and effectiveness of public policies, which automatically reduces corruption”.

Nel loro complesso, i contributi di questo volume, con differenti punti di vista e un ampio ricorso al metodo di ricerca del caso studio, rinnovano l’attitudine di RIPM di costruire un confronto aperto, di fornire proposte nuove, aprendo strade di ricerca e azione, anche rispetto a temi, come appunto quello oggetto dello Special Focus, che non godono della giusta rilevanza tra gli studiosi.

 

 

[1]       Grandi dimissioni, negli Stati Uniti, e nel mondo, nel 2021, ha avuto grande rilievo il fenomeno di massa che ha visto 47 milioni di persone lasciare davvero il posto di lavoro.

[2]       Cfr. Linee guida n. 4/2019 del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (sulla valutazione partecipativa nelle amministrazioni pubbliche).

[3]       Il Dipartimento della funzione pubblica, nel promuovere con il Piao il Pm, ha segnalato le criticità esistenti nel Paese -scarsa qualità degli obiettivi e degli indicatori, limitata integrazione con il ciclo di programmazione economico-finanziaria, limitato coinvolgimento dei decisori chiave, limitata capacità di selezione dei contenuti rilevanti, sistemi controllo di gestione non ben sviluppati, limitata attenzione al monitoraggio periodico, limitato ricorso a forme di valutazione esterna o partecipativa, coinvolgimento dell’Organismo interno di valutazione- che andrebbero superate sia sul piano della cosiddetta performance organizzativa;  sia su quello della performance individuale -elevato costo di sistema in caso di assegnazione di obiettivi a tutti, scarsa qualità dei processi di comunicazione degli obiettivi e stili direzionali inadeguati, bassa capacità di differenziazione tra le performance e tendenza al pieno conseguimento degli obiettivi, ritardi nella conclusione delle attività valutative, debole collegamento tra valutazione e altri processi di gestione del personale, criticità del collegamento diretto tra valutazione della performance e premialità economica.

 

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