Editoriale

di Luigi Fiorentino - Presidenza del Consiglio dei Ministri
e Elisa Pintus - Università della Valle d’Aosta


La ricerca e il ruolo propulsivo delle istituzioni pubbliche. Politiche, assetti e strumenti per innovare.

di Luigi Fiorentino – Presidenza del Consiglio dei Ministri

e Elisa Pintus – Università della Valle d’Aosta

La ricerca e il ruolo propulsivo delle istituzioni pubbliche. Politiche, assetti e strumenti per innovare

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’editoriale si apre con la notizia che RIPM, Rivista Italiana di Public Management, è stata classificata ed inserita dall’ANVUR, Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, tra le riviste scientifiche delle seguenti Aree: Scienze giuridiche (Area 12), Scienze economiche e statistiche (Area 13), Scienze politiche e sociali (Area 14). 

Gli Editors e tutto il Team editoriale auspicano che questa acquisita qualificazione, che valorizza la relazione fra missione e visione della Rivista anche potenziando una apertura all’approccio multidisciplinare, incoraggi ancor di più gli studiosi e gli esperti nel Management Pubblico a contribuire alla rivista, anche in ambito internazionale, definendo linee di pensiero e casi di specie che consentano di coagulare energie verso le istituzioni pubbliche e tutto l’insieme dei portatori d’interesse che possono contribuire ad una costante crescita della materia.

Un secondo ambito di comunicazione che vogliano portare alla vostra attenzione concerne il tema affrontato nello Special Focus RIPM – Vol.3 – n.2 | 2020 “Gestione dell’emergenza, tra eccezionalità e continuità: modelli e strumenti di risk management”.

Il tema affrontato nello scorso numero della rivista, definito a suo tempo in virtù dell’irrompere nella scena mondiale dell’evento pandemico da Covid-19, è perfino più attuale rispetto a quando fu lanciato lo Special Focus e ha portato un numero rilevante di studiosi a perdurare nell’interrogarsi e confrontarsi sulle implicazioni economiche, sociali, organizzative e gestionali nelle istituzioni pubbliche degli stati di crisi. Invitiamo gli studiosi a contribuire ancora sul tema, nella sezione permanente di RIPM – Dialoghi -, per alimentare il dibattito su ambiti che, indubitabilmente, tracceranno linee di pensiero per molto tempo ancora. 

Passando ad analizzare le ragioni che hanno portato a stimolare una riflessione e, si auspica, un virtuoso dibattito, sullo Special Focus di questo numero “La ricerca e il ruolo propulsivo delle istituzioni pubbliche – Politiche, assetti e strumenti per innovare”, l’intento sotteso alla scelta è stato quello di analizzare, da vari punti di vista –  valorizzando approcci teorici e di tipo tecnico e operativo – quale sia il ruolo della ricerca nel ventunesimo secolo. Non vi è dubbio che la materia al centro dell’analisi, ancora una volta, trova linfa a partire dall’analisi dell’attuale stato delle cose. Dibattere sul ruolo della ricerca oggi impatta direttamente su scelte di politica pubblica che sono state prese in molti paesi negli ultimi due anni. C’è una correlazione diretta fra pandemia e ruolo della ricerca e si è profondamente convinti che dalle politiche pubbliche e dalle azioni che si determineranno intorno alla tematica deriverà buona parte del progresso e del benessere delle generazioni future.

Infatti, non vi è dubbio che oggi si è dinanzi a un eccezionale fronte di dibattitto, anche trasversale, con posizioni, molto spesso, “contra” la scienza, la ricerca, i saperi, le competenze acquisite. Per molti anni le questioni relative agli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica hanno avuto poco spazio nel dibattito pubblico. Oggi, al contrario, si assiste ad una inversione di tendenza e ad un rilancio della relazione fra ricerca e crescita economica, ricerca e competitività dei paesi e, più in generale, si assiste ad un vero e proprio rilancio dell’analisi sul ruolo della scienza nel progresso umano. 

Da questo punto di vista, la pandemia da Covid-19 è stata un’opportunità straordinaria che ha consentito di rimettere al centro dello sviluppo umano la ricerca.

La pandemia è stata un acceleratore di cambiamento che ha richiesto, necessariamente, un approccio originale e, nel contempo, rigoroso per affrontare sfide inedite del nostro tempo, in cui si ripensano i modelli tradizionali con cui si affrontano le decisioni pubbliche. 

Viviamo in un’era di grandi mutamenti dove i megatrend, intesi anche come una molteplicità di variabili sociali, tecnologiche, demografiche e ambientali, contribuiscono a cambiare il modo con cui si interpretano e si ridefiniscono i comportamenti dei differenti attori che contribuiscono a modificare il panorama economico, finanziario e geopolitico. 

Dibattere sulla capacità di interpretare un ruolo di primo piano della scienza e della ricerca contribuisce a migliorare i processi con cui si affrontano le decisioni e si determinano le scelte pubbliche fondamentali per il benessere della società nel suo insieme alimentando il bisogno innato di nuove conoscenze. Il futuro di ogni paese, e le relazioni fra paesi, si basano sulla capacità di produrre conoscenza. 

È necessaria una strategia nazionale o sovranazionale che incentivi la ricerca scientifica e tecnologica veicolando risorse economiche e di capitale umano verso obiettivi e valori condivisi in tutti i settori. In tal senso, il NextGenerationEU può essere un volano straordinario per creare quelle condizioni di investimento da troppo tempo auspicate e per molto tempo mai applicate. 

Al contempo è necessario che la governance delle infrastrutture istituzionali che regolano le funzioni di ricerca e sviluppo sia delineata accogliendo -quali opportunità- le pressanti esigenze drammaticamente ridefinite dalla pandemia.  Il ruolo delle istituzioni pubbliche richiede un riposizionamento strategico ed è la leva con cui definire, o ridefinire, la conseguente funzione propulsiva. Il dare impulso alla funzione di ricerca in modo innovativo da parte delle istituzioni pubbliche per “rimettere al centro” prima di tutto proprio le amministrazioni è elemento critico di valutazione a livello mondiale. Accrescere l’impegno e unire le forze per creare un modello condiviso per il finanziamento della ricerca scientifica che metta coniughi eccellenza ed equità superando confini geografici, economici, sociali e politici è un imperativo ineludibile per la sopravvivenza dell’umanità.

I cambiamenti causati dalla pandemia hanno certamente creato un’impennata di riflessioni sulla ricerca scientifica. Ma oggi tali riflessioni, che hanno portato, spesso, a prese di posizioni anche polemiche, andrebbero veicolate e confutate. In tutto il mondo si è creato un notevole interesse per la scienza da parte di addetti e non addetti ai lavori. Interesse che rischia di fuorviare il fuoco dell’attenzione rispetto alle ragioni che intrinsecamente richiedono di porre scienza e ricerca in primissimo piano. 

Non vi è dubbio che, direttamente o indirettamente, le decisioni di politica pubblica in questi ultimi due anni siano state influenzate dalla scienza, da coloro che interpretano la scienza, e dagli attori istituzionali che disegnano misure basate sulle loro interpretazioni della scienza in un contesto che può essere definito emergenziale.

Tuttavia, è altrettanto indubbio che la “sovraesposizione” della scienza e del metodo scientifico registrata in questi ultimi tempi non sia stata correlata ad una diffusione delle conoscenze con le norme, ritenute fondamentali nel ventesimo secolo, del metodo scientifico di comunitarismo, universalismo, disinteresse e scetticismo organizzato sempre attuali. Tali principi, insomma, non sono divenuti mainstream dei dibattiti. Al contrario, è perdurata una situazione esistente già prima dell’irrompere di Covid-19, quando lo scambio gratuito di dati e risultati della ricerca era particolarmente limitato, pregiudicando la condivisione su cui si basa il metodo scientifico (Ioannidis, 2021). 

Quando la scienza era unanimemente considerata il regno di un’élite isolata e autoreferenziale. Quando anche il principio dello scetticismo sistematico è andato in crisi a causa di Covid 19. Valga per tutto rammentare quanto è accaduto nel 2020 e 2021 e cioè che riviste peer-reviewed abbiano, alcune volte, presentato i loro risultati con distorsioni e pressioni dettate dal bisogno di “pubblicare” per prime certi esiti. 

C’è fame di riforma nell’accademia che può essere rinvigorita se si rimodula l’approccio alla ricerca basata sull’evidenza, sull’assenza dei conflitti d’interesse, sulla trasparenza e sulla condivisione degli esiti. Purtroppo, l’inizio della pandemia ha provocato una recrudescenza delle patologie dei processi non virtuosi della ricerca e, solo dopo due anni, si stanno ricreando condizioni virtuose in linea con i principi mertoniani anche per la forte visibilità, nel panorama mondiale, nei media – social e non – dei temi connessi alla ricerca. 

A tal proposito, è interessante sottolineare il rischio, se non addirittura la pratica, di infodemie e il ruolo dei media nel veicolare scienza e risultati di ricerca e sovraesporre ricercatori in questi due anni. Il rapporto fra scienza, esiti della ricerca e comunicazione è stato, molto spesso, debole, strumentale, fallace. 

Una prima azione di sintesi che si può proporre, concerne quindi il bisogno di innovare nella comunicazione sulla ricerca, soprattutto da parte delle istituzioni pubbliche. È necessario trovare, o ritrovare, quell’equilibrio che sta alla base della divulgazione non fine a sé stessa: avere capacità di interagire con qualunque pubblico, anche non tecnico, rendere disponibili dati e informazioni, essere rigorosi sotto il profilo etico, essere consapevoli della continua evoluzione del pensiero scientifico e del rilievo dell’evoluzione del pensiero scientifico per l’innovazione nell’agire delle istituzioni pubbliche.

Un altro punto di riflessione evocato dall’argomento dello Special Focus è quello della relazione fra innovazione e progresso.

Fare ricerca significa certamente alimentare il progresso che è molto di più che innovare – rendere nuovo qualcosa -. Progresso deriva dal latino progressus, inteso come un avanzamento verso gradi o stadi superiori “con implicito il concetto del perfezionamento, dell’evoluzione, di una trasformazione graduale e continua dal bene al meglio, sia in un ambito limitato sia in un senso più ampio e totale (…) lo sviluppo verso forme di vita più elevate e più complesse, perseguito attraverso l’avanzamento della cultura, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, dell’organizzazione sociale, il raggiungimento delle libertà politiche e del benessere economico, al fine di procurare all’umanità un miglioramento generale del tenore di vita, e un grado maggiore di liberazione dai disagi” . 

In definitiva, la ricerca scientifica assurge a ruolo che irradia benessere per l’umanità: questo è lo snodo fondamentale che deve considerarsi, soprattutto in questo momento storico così doloroso sotto molteplici aspetti e così bisognoso di ottimismo e di fiducia.

Il progresso, per coniugare il tema con quello affrontato precedentemente sulla comunicazione della ricerca scientifica, si sviluppa quando i postulati si basano non su semplici opinioni ma sui fatti, sulle robuste evidenze sotto il profilo scientifico. Solo così si accresce il benessere complessivo dell’umanità. Tradurre il progresso quale volano nell’innovazione delle istituzioni pubbliche significa creare condizioni stringenti di relazione fra presa delle decisioni, processi attuativi e valutazione delle decisioni nel tempo.

Un ulteriore elemento rilevante ai nostri fini, nella determinazione delle scelte atte a provocare riflessioni originali con lo Special Focus, è quello relativo al ruolo delle istituzioni pubbliche per creare condizioni di progresso scientifico. Anche rispetto allo sguardo su scienza e ricerca possiamo affermare che mai come in questi ultimi due anni definizione, analisi e valutazione dei processi decisionali delle istituzioni pubbliche, tanto le politiche quanto le decisioni di management, sono stati osservati, confutati, ostacolati o smentiti.

Si ritiene che l’autorevolezza, la legittimazione all’agire, la reputazione, e, certamente, la capacità di creare valore delle istituzioni pubbliche – progresso e benessere come effetti ultimi – derivino dalle modalità con cui si definiscono i meccanismi di “presa delle decisioni” soprattutto, ma non solo, negli stati di crisi. 

Anche sotto questo profilo le amministrazioni pubbliche, a partire da quelle a livello centrale – quelle che più delle altre si occupano di policies -, sono via via scivolate verso posizioni di retroguardia perdendo nel tempo autorevolezza, legittimazione all’agire e reputazione. Una delle cause di questo arretramento deriva, a parere di chi scrive, da alcune variabili che, insieme, hanno contribuito a definire tale stato delle cose.

In primo luogo, la spinta delle tendenze riformiste degli assetti istituzionali e dei modelli di governance verso i modelli di tipo privatistico – Outsourcing, Downsizing, New Public Management, etc. – ha, nel tempo, creato gravi condizioni di debolezza nella elaborazione interna, autonoma e indipendente, delle decisioni anche perché ha alimentato dipendenza da istituzioni esterne anche di tipo privatistico. Dipiù, oggi spesso le istituzioni di ricerca e valorizzazione di dati e informazioni che supportano nelle decisioni non dialogano fra loro, non “fanno” restitution alle istituzioni cui chiedono dati e informazioni (Andrews, 2019). Insomma, non svolgono il ruolo per cui oggi dovrebbero accrescere l’autorevolezza della presa di decisioni pubbliche. 

In secondo luogo, fattori quali la strutturale carenza di organico accresciutasi negli anni, anche per i vincoli formali all’acquisizione di capitale umano e il mismatching fra competenze necessarie e competenze disponibili hanno determinato una difficoltà a governare i tempi delle decisioni e a definire i meccanismi ottimali per l’appropriatezza delle decisioni stesse. La mancata attenzione allo sviluppo di politiche del personale manageriali, la scarsità di risorse per fare recruitment e sviluppo professionale, la incapacità a svolgere azione predittiva ha “svuotato di significato” uno dei pilastri fondamentali della good governance (Rhodes, 2000): il ruolo centrale dei civil servant quali attori istituzionali consapevoli in grado di costruire e stabilizzare le “infrastrutture” necessarie a ridefinire i processi decisionali, intesi come relazione armonica fra politica e amministrazione.   

In terzo luogo, il disallineamento strutturale fra i tempi della politica e i tempi dell’amministrazione (Bach & Wegrich, 2020) – considerato, a parere di chi scrive, come uno degli elementi di maggiore debolezza per raggiungere obiettivi di “buona amministrazione” – ha, nel tempo, contribuito a creare molteplici effetti collaterali. Essi sono, fra gli altri, mancanza di linea politica duratura sull’investimento in ricerca; non perdurare dell’investimento in assetti istituzionali e organizzativi innovativi; mancanza di regia e integrazione nella condivisione di una linea comune sul ruolo della ricerca per la presa delle decisioni. 

Analogo meccanismo di sfiducia si è creato nella relazione fra decisori politici e civil servant, e nella lettura di questa relazione nella società civile. Essa è letta molto spesso come “non leale” o subordinata a logiche di sliding doors velocissime e opportunistiche (Sasso & Morelli, 2021).  

I tempi sono maturi per un forte rilancio del tema della scienza e della ricerca, del progresso come “trasformazione graduale dal bene al meglio”, nelle istituzioni pubbliche. 

Il rilancio reputazionale non può prescindere da una interiorizzazione dell’investimento e dalla successiva patrimonializzazione nel ruolo propulsivo della ricerca. Disegni istituzionali riformatori su agenzie pubbliche per la ricerca, valutazione e divulgazione della ricerca, ruolo degli uffici studi o tecnici a supporto delle decisioni di policies, reclutamento e selezione di capitale umano con gradi di istruzione superiore specifica, regolazione o meglio ri-regolazione dei principi non negoziabili sulla pubblicazione e diffusione degli esiti della ricerca scientifica – sono elementi ineludibili per garantire reputazione, autorevolezza e valore (Osborne, 2018) all’agire delle istituzioni pubbliche.

Tale quadro auspicato si innesta nell’affermarsi ineludibile dei paradigmi di management pubblico – open government innovation e governance multilivello- in cui l’ingaggio dei portatori d’interesse  è prodromico per anticipare, interpretare e accompagnare l’evoluzione in chiave manageriale delle istituzioni.

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Il presente numero si fa nuovamente interprete dell’attitudine specifica all’ascolto della Rivista, con una sua espressione originale nella sezione Special Focus dedicata all’approfondimento tematico della ricerca e del ruolo “propulsivo” delle istituzioni pubbliche. Così come già accaduto nel numero di esordio anche tramite un’attività di intervista, si è coniugata la visione dedicando attenzione a come gli autori, con differenti approcci disciplinari, sulla base dei propri ruoli e nell’ambito delle rispettive istituzioni di appartenenza, vedono il sistema della ricerca pubblico e privato. 

In tale chiave prospettica, il primo contributo, dal titolo “La gestione delle risorse pubbliche destinate alla ricerca e la dimensione assiologia della performance di filiera”, si focalizza sull’impiego delle risorse pubbliche stanziate per la ricerca. Esalta le “potenzialità della performance di filiera, quale strumento in grado di sussumere la catena incrementale del valore nel progressivo combinarsi delle attività di organismi concorrenti alla missione dispiegata in via diretta dalla PA, ed anche della rendicontazione sociale come della connessa valutazione partecipativa”. Confermando, come già considerato in un precedente numero, che “l’innovazione investe, o dovrebbe investire, nelle istituzioni pubbliche, assetti istituzionali, modelli organizzativi e gestionali, ruoli degli attori politici e manageriali, competenze, ridefinizione di output e outcome”.

Agli interrogativi dello Special Focus, che si ricordano di seguito, ha accettato di rispondere, nella forma dell’intervista, un panel autorevole composto dal Ministro dell’Università e della Ricerca, dal Presidente di Enea, dal Direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica (CIRB), dai Presidenti dell’Accademia Italiana di Economia Aziendale (AIDEA) e della Società Italiana di Management (SIMA), dai direttori di due Osservatori dell’Istituto Bruno Leoni. 

Ecco la griglia di domande proposta, con l’invito a formulare personali considerazioni anche facendo riferimento a casi concreti.

– Qual è il contributo che la ricerca in ambito manageriale può fornire allo sviluppo delle amministrazioni pubbliche?

– Quali sono gli assetti istituzionali più innovativi nelle istituzioni pubbliche per promuovere, accelerare e valorizzare l’attività di ricerca scientifica e tecnologica?

– Quali sono gli strumenti di management per gestire ed organizzare i processi di analisi e valutazione della ricerca?

– Quali sono i modelli, gli attori e i meccanismi per una virtuosa determinazione della circolarità dei percorsi di finanziamento della ricerca?

– Come è possibile valorizzare il capitale umano dei ricercatori e il loro ruolo nelle istituzioni?

– Sussistono robusti modelli di Technology Transfer (TT) oggi? È possibile sviluppare modelli di tipo TT così da alimentare forme di collaborazione virtuose tra l’accademia, mercato e istituzioni not for profit?

– Quali sono oggi i meccanismi di valutazione della ricerca più coerenti ai modelli di sviluppo sostenibile?

– Quali sono i modelli innovativi di sostegno e sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica da parte di istituzioni pubbliche e private?

– È possibile costruire strumenti per lo sviluppo di meccanismi di finanziamento per la ricerca scientifica che tengano in considerazione tutti gli stakeholder e garantiscano il migliore risultato ottenibile per la società nel suo complesso?

I singoli apporti, che esprimono “il punto di vista su ricerca e istituzioni pubbliche”, mettono in comune, secondo lo stile RIPM, informazioni, idee, modelli e metodologie, utili per prospettare possibili scenari connessi alla filiera R&S, dalla valutazione al finanziamento al trasferimento tecnologico, anche nell’ottica dell’articolato programma di riforme e investimenti per il periodo 2021-2026 definito dal Pnrr. Dimostrano che “la ricerca e l’alta formazione possono favorire la costruzione di risposte innovative e semplificanti, profilate sule specificità di cui la macchina amministrativa necessita, e al tempo stesso formano competenze professionali specifiche e trasversali” (Messa). Segnatamente, la ricerca manageriale può contribuire alla “definizione di sistemi di misurazione, valutazione e gestione della performance che tengano in debita conservazione le peculiarità delle istituzioni pubbliche e che siano utili a sopportare il miglioramento continuo della qualità dei servizi da esse erogati” (Pizzo). In proposito, è  interessante il riferimento fatto, tra gli altri, alla mobilitazione creatasi attorno alla corsa allo spazio degli anni ‘60 del secolo scorso quale esempio di come “la ricerca scientifica e tecnologia, unita a obiettivi sfidanti”, possa fornire oggi, a partire dalla grandi sfide delle  transizioni verde e digitale, un “contributo di rilievo alla creazione e allo sviluppo di settori pubblici innovativi, stimolando al contempo ricadute molto produttive a livello industriale” (Dialuce). Trattano il “processo di ricerca (…) come un (…) processo di creazione di valore”, che va “gestito e valutato”, “gestendo i vari step (…) e tenendo sotto controllo i suoi principali output”, dipendendo da queste misurazioni anche i meccanismi incentivanti, “in modo da innescare sempre un circolo virtuoso” (Castaldo). 

Sottolineano “la necessità di un finanziamento pubblico e privato della ricerca in un ammontare in termini di percentuale di Pil almeno vicino ai paesi concorrenti dell’area Ocse (…) in un paese come l’Italia segnato da un inaccettabile divario territoriale” (Patroni Griffi). Segnalano, inoltre, il bisogno di “migliorare i percorsi di dialogo tra le imprese e le istituzioni di ricerca al fine di abbattere quelle barriere che non consentono la valorizzazione delle competenze e capacità dei ricercatori” (Amenta & Stagnaro). 

La sezione tematica “R&S e PA: Questioni aperte e prospettive” ospita una serie di esperienze maturate “sul campo”, che mettono in luce anch’esse la ricerca come uno dei motori della crescita (sociale, economica e culturale) e dello sviluppo sostenibile del Paese.

In particolare, due articoli sono dedicati alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, che ha nella sua mission una funzione di ricerca (applicata), individuata a supporto dei processi di cambiamento organizzativo, con “due obiettivi prioritari: la realizzazione di progetti di ricerca che possano avere ricadute applicative sulle amministrazioni pubbliche; e la promozione di un circolo virtuoso tra attività di ricerca e di formazione”. A questi, per effetto del decreto sul reclutamento nella PA (d.l. 80/2021), si è aggiunto quello relativo all’“individuazione di specifiche tipologie di formazione per il personale delle pubbliche amministrazioni preposto allo sviluppo e all’attuazione delle azioni contenute nel Pnrr”. Il primo contributo restituisce l’approccio metodologico seguito e illustra le strategie adottate con riguardo alle attività di ricerca, quelle del periodo 2019-2021, sviluppate, in parte ancora in corso di implementazione. Evidenzia il “ruolo di cross fertilization che la Sna può giocare tra università e PA, in termini di conoscenza e di collegamento tra i due mondi, per evitare il rischio di astrattezza della ricerca accademica e la sensazione di subalternità da parte delle amministrazioni e talvolta anche di scetticismo sulla capacità della ricerca universitaria di capire e supportare realmente le necessità della PA”. Il secondo contributo approfondisce l’importanza, peraltro confermata da alcune interviste, della “ricerca in campo manageriale (…), fortemente agganciata all’esperienza (…) sul campo”, come nel caso delle due linee di attività riferite che attengono al percorso professionale dell’autore. Mettendo in rilievo che “campi di studio articolati e complessi, quale è quello della pubblica amministrazione italiana, chiedono strumenti di analisi teorie di interpretazione, modelli di intervento in grado di spiegare il contesto, considerando che sostanzialmente diversa è la natura della PA italiana rispetto alle altre grandi famiglie di organizzazioni delle quali gli studiosi di management devono occuparsi”. 

Lo Special Focus si conclude con l’articolo “Creare impatto sociale, economico e culturale della ricerca pubblica: sembra facile, ma …” che propone alcune considerazioni utili nella fase attuale e in quelle future, come il rafforzamento dei Technology Transfer Offices, il ruolo delle Humanities e delle scienze sociali, il ruolo della valutazione e l’attenzione alle “meteore” cioè a quelle azioni che si rivelano insostenibili nel tempo una volta esaurito il finanziamento iniziale. Con l’indicazione di un contributo nuovo ai processi di Knowledge Exchange anche delle imprese, soprattutto delle Pmi.

Nella sezione dialoghi della Rivista, il saggio “La governance dell’innovazione a Venezia: passato, presente e futuro” ripercorre il legame tra la Venezia della Serenissima e l’innovazione, offrendo spunti per il futuro di questa città, paradigmatici per altre, che possono sintetizzarsi in alcune parole chiavi, riconducibili all’ambito proprio dello Special Focus, quali “attrazione”, “facilitazione”, “governo di rete” e “internazionalizzazione”.

Sempre nella medesima sezione, l’articolo “Organizzazione ed efficacia del lavoro agile durante il Covid-19. Indagine sulla percezione e le opinioni dei lavoratori in un ente sanitario pubblico” prosegue una riflessione già avviata nel precedente numero, nel quale si presentava la catena del valore del lavoro agile e si proponevano nuovi modelli concettuali e applicativi. Dopo aver fornito un quadro interpretativo, gli autori illustrano, anche tramite le evidenze di una indagine interna, l’esperienza di telelavoro dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, anche in funzione dell’implementazione del lavoro agile.

I contributi di questo volume, con differenti punti di vista e un’ampia gamma di approfondimenti che fondono approcci teorici e di tipo tecnico, confermano tutti, come avvertito dal Presidente della Repubblica in occasione della cerimonia di celebrazione de “I Giorni della Ricerca” il 26 ottobre 2020, che “la ricerca è uno snodo decisivo, un bene comune che sollecita responsabilità comuni”.

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