Editoriale

di Luigi Fiorentino - Presidenza del Consiglio dei Ministri
e Elisa Pintus - Università della Valle d’Aosta


Gestione dell’emergenza, tra eccezionalità e continuità: modelli e strumenti di risk management

di Luigi Fiorentino – Presidenza del Consiglio dei Ministri

e Elisa Pintus – Università della Valle d’Aosta

 

Lo stato dell’arte per un approccio alla gestione degli stati di crisi

I l tempo è superiore allo spazio. E con questo principio che si può definire un perimetro di riflessione a questo editoriale[1].

Se l’uomo può essere mosso verso un progresso etico irreversibile – della sua persona e della società – questo è dovuto alla facoltà di generare processi più che a quella di dominare spazi.

Con questo editoriale vorremmo ispirare gli studiosi interessati al management pubblico a raccogliere la “grande sfida” di studiare il ruolo e il funzionamento delle istituzioni pubbliche durante eventi naturali o sociali avversi.

Lo Special Focus, Gestione dell’emergenza, tra eccezionalità e continuità: modelli e strumenti di risk management, pone l’attenzione su gravità e pervasività della crisi epidemiologica, che ha colpito il mondo intero dal 2020, modificando – radicalmente – la vita di cittadini, istituzioni pubbliche, imprese, società anche e soprattutto nella modalità di interpretazione delle variabili di tempo e spazio nella gestione della crisi.

La pandemia è stata, ed è ancora, uno stress test di portata straordinaria poiché ha richiesto di garantire, in ogni caso, la continuità della vita sociale, politica ed economica in una situazione di drammatica eccezionalità quanto a modalità di determinazione delle decisioni politiche, organizzative e gestionali e di interrelazione con il sistema dei portatori d’interesse.

Questo evento, destinato a protrarre i suoi effetti per i tempi avvenire[2], ha prodotto, e produce ancora, reazioni e controazioni incanalate nella ricerca di risposte nuove per domande, in parte inedite, in parte strutturali poiché la crisi sanitaria, fino dall’inizio, ha evidenziato ancor di più disuguaglianze e criticità.

Non vi è dubbio che la crisi si è diffusa in modo pervasivo ponendo i paesi dinanzi alla sfida di dover costruire strumenti efficaci in tempi rapidi, bilanciando la tensione verso nuovi bisogni con la necessità di tenuta generale del sistema e con la garanzia della coerenza con i principi fondamentali dell’agire, per quanto di nostro interesse di analisi, delle amministrazioni pubbliche. Sfide che oggi sono ineludibili, come la capacità di governare sistemi complessi con una pluralità di funzioni e istituzioni, potranno trovare una positiva risoluzione solo se dalla drammatica esperienza che si è innervata profondamente nella società sarà possibile astrarre modelli di management sostenibili.

Ma se non si vuole che tutto quanto accaduto a causa della pandemia da Covid-19 sia un archetipo distopico (Phan & Wood, 2020), è necessario, innanzitutto, interrogarsi su cosa sia necessario osservare, isolare, valutare e riportare a modello.

Si può distinguere fra disastro definito come “un evento potenzialmente traumatico che viene vissuto collettivamente, ha un esordio acuto ed è delimitato dal tempo; i disastri possono essere attribuiti a cause naturali, tecnologiche o umane” ed una crisi che è “un evento a bassa probabilità e ad alto impatto che minaccia la vitalità del sistema ed è caratterizzato da ambiguità di causa, effetto e mezzi di risoluzione, nonché dalla convinzione condivisa che le decisioni debbano essere prese rapidamente” (Pearson & Clair, 1998). Questi eventi avversi sono causati da fattori esterni al sistema, sono imprevisti e richiedono un’azione immediata. Ecco un punto di riflessione a supporto sulla relazione fra tempo e spazio.

Vi è differenza fra rischio e incertezza. Un contesto decisionale è rischioso quando i decisori non sanno, con certezza, quale sarà un risultato decisionale ma conoscono i possibili risultati associati a una decisione, insieme alla probabilità che tali risultati si attuino, nel momento in cui la decisione è presa. L’incertezza, invece, si ha quando i responsabili delle decisioni non conoscono né i possibili risultati né le probabilità che si verifichino quando si prende una decisione. Si può affermare che i processi decisionali delle istituzioni pubbliche messi in atto durante gli stati di crisi dovrebbero essere il frutto di un equilibrio ponderato fra analisi del rischio e contrasto all’incertezza, dovrebbero consentire di abbattere il tasso di incertezza – causa scatenate l’effetto avverso – e governare il rischio in virtù scelte di policy e di gestione.

L’equilibrio fra questi due elementi è lo snodo necessario a comprendere la relazione necessaria circa la presa delle decisioni di politica pubblica, la capacità di tradurre le politiche in piani, programmi e progetti in tempi ridefiniti, necessariamente, dal concretizzarsi degli stati di crisi. Di nuovo ritorna il tema del discernimento fra tempo e spazio.

Crisis management è tema studiato da moltissimi anni – con continuità dagli anni ʼ70. Il post-guerra fredda e i grandi disastri ambientali[3] sono stati fra i primi ambiti di osservazione privilegiata. Ma è a partire dagli anni ʼ90 che subiscono critiche, in modo diffuso, i modelli delle istituzioni pubbliche, sino ad allora dominanti, determinando veri e propri choc nelle società occidentali e nelle élite e consentendo l’evolversi di modelli di gestione delle crisi post industriali e post nazionali anche in virtù del crescere di accadimenti straordinari quali: disastri dovuti ad eventi ambientali, sconvolgimenti geopolitici, crisi economico-finanziarie e non ultime crisi legate a epidemie virali.  A ciò si aggiunge una profonda incapacità a gestire gli squilibri delle democrazie occidentali e dei loro sistemi politico-amministrativi sempre più in difficoltà nella loro propensione a reagire e quasi mai capaci di “patrimonializzare” gli sforzi politici, economici, gestionali e sociali messi in campo durante l’acme e a contrasto dell’evento scatenante la crisi.

Le risposte all’uragano Katrina[4], avvenuto all’inizio del nuovo millennio, sono state un punto di riflessione determinante[5] per originare modalità innovative d’azione fra studiosi, policy maker e manager pubblici. Oggi è possibile definire un ampio ventaglio di categorie di rischio che contemplano, fra le altre, quelle legate a rischi ambientali, economici, sociali, geopolitici e tecnologici. Tali categorie si definiscono attraverso il verificarsi di alcuni rischi considerati oggi fra i più temibili: malattie infettive, armi di distruzione di massa, fallimento dell’azione per il clima, perdita di biodiversità, diminuzione delle risorse naturali, condizioni metereologiche estreme, danni ambientali provocati dall’ uomo, crisi economico-finanziarie, collasso delle infrastrutture IT, diseguaglianza digitale, fallimento della sicurezza informatica, crollo dei sistemi di previdenza e coesione sociale, distacco dei giovani dall’inclusione nei sistemi educativi e produttivi.

Anni di analisi sui rischi globali mostrano una costante crescita e una sempre più ampia differenziazione delle tipologie di rischio[6].

Eventi ad alto rischio che, inizialmente, sembrano causare effetti isolati e locali possono aumentare di intensità e creare condizioni ostative alla funzionalità delle infrastrutture vitali prima di tutto su scala locale ma anche, sempre più spesso, su scala globale.

Indubbiamente eventi avversi sono inevitabili ma è altrettanto evidente che vi siano paesi in grado di riprendersi e sopportare, o addirittura contrastare, tali shock meglio di altri. Comprendere il ruolo e il funzionamento delle istituzioni pubbliche di fronte a eventi avversi può aiutare ad affrontare meglio i disastri e, in ultima analisi, a portare benefici alla società nel suo insieme.

La complessità, la diversificazione e la numerosità di un potenziale portfolio di rischio derivante da eventi avversi richiedono sistemi di gestione del rischio strutturati per l’identificazione e la mitigazione del rischio stesso con la capacità dei sistemi istituzionali pubblici di assorbire gli shock e di riprendersi, trasformando le strutture organizzative e i processi per funzionare a fronte di stress, cambiamenti e incertezze a lungo termine. Ciò richiede una comprensione attiva del panorama dei rischi, analizzando dove tali rischi siano meglio gestiti, rafforzando le componenti del sistema che aiutano ad affrontarli e comprendendo come l’interrelazione di queste componenti influisca sul funzionamento del sistema pubblico nel suo complesso.

La letteratura non è ancora consolidata ma i dati disponibili sembrano indicare che, a prescindere dalla capacità di prevenire gli stati di crisi, i meccanismi di “anticipazione” o prevenzione degli stati di crisi si consolidano in virtù di processi di pianificazione di strumenti che consentano alle organizzazioni di definire come affrontare gli effetti avversi qualunque cosa accada. Anche alla luce della numerosità crescente di eventi avversi, e conseguenti stati di crisi, oltre che alla consapevolezza che nessuna crisi ha spazi di prevedibilità sufficienti a gestirla nel suo complesso in modo del tutto efficace, bisognerebbe considerare gli stati di crisi come un “processo senza fine” e determinare una volta per tutte modelli di contrasto duraturi, efficaci, tempestivi e sostenibili. È indubbio che   più i fenomeni avversi potranno essere gestiti più sarà agevole riprendersi dagli stati di crisi. Di nuovo, è dirimente scegliere se e come privilegiare il tempo allo spazio.

Di seguito alcune domande per indagare su modelli innovativi di management degli stati di crisi che potranno alimentare un fattivo perimetro di elaborazione di pensiero.

Quali sono i trend nei modelli di crisis management oggi? Come passare dall’approccio di tipo crisis management episodico ad uno di tipo strutturale per gestire eventi avversi?

Come si possono costruire assetti istituzionali e framework giuridici atti a gestire e governare i parossismi creati da eventi avversi straordinari? Quali sono le forme e i modi per la gestione delle istituzioni che erogano servizi pubblici essenziali (fra i quali centrale quello della salute) in fasi emergenziali e con un sistema di governo, spesso, istituzionalmente decentrato? Come si può garantire la partecipazione delle istituzioni pubbliche, a tutti i livelli di governo, contemperando esigenze di rapidità ed equità delle decisioni pubbliche nei confronti dei cittadini, anche in contesti eterogenei e con problemi differenti? Quali sono i contorni e i limiti, ma anche le opportunità e le possibilità, del governo dell’emergenza, secondo gli strumenti giuridici e quali sono le modifiche che sarebbe opportuno imprimere al modello di risk management vigente, sulla base della prova imposta dalla pandemia? Quale è il ruolo e il futuro delle istituzioni, in uno scenario sempre più globalizzato e con problematiche in grado di travalicare i confini degli stati? Come governare l’incertezza, offrendo modelli di comunicazione istituzionale con risposte trasparenti e responsabili ai cittadini, alle famiglie e alle imprese, anche quando è lo Stato stesso ad essere sottoposto alle medesime difficoltà e incertezze? Quali strumenti possono superare la “mediatizzazione” degli stati di crisi? Come gestire dati e informazioni, in particolare quelle sensibili, durante l’emergenza e una volta che questa è superata?

Come creare una pervasiva cultura di crisis management sia nelle istituzioni pubbliche e private che nella società nel suo complesso capace di definire un modello di resilienza del paese alla crisi? Come definire modelli di valutazione dell’impatto delle scelte così da guidare l’operatività delle stesse nel medio e lungo periodo? Come determinare il consolidamento delle “Infrastrutture per gli stati di crisi” oltre la loro utilizzazione nel parossismo dell’evento avverso? Come costruire modelli istituzionali atti a prevenire-gestire al meglio le criticità quando si verificano eventi avversi? Come si possono costruire relazioni istituzionali con le imprese – alleanze strategiche – per superare gli stati di crisi? È possibile un “patto” sociale, un nuovo umanesimo, una nuova cultura del bene comune per rilanciare un paese dopo un drammatico momento in cui il decisore politico ha definito un’agenda determinata, almeno in parte, dal governo del tempo oltre che dall’interesse pubblico?

A questioni così cruciali si può rispondere iniziando a definire una cornice d’azione con una sequenza siffatta: analisi e valutazione economica e sociale delle situazioni di rischio anche predittiva, definizione delle variabili note e di quelle non conoscibili del tutto per la migliore presa delle decisioni, relazione nella presa di decisioni politiche e gestionali fra  governo del tempo rispetto alle attese degli stakeholder e impatto delle decisioni nel breve, medio e lungo termine, coordinamento interno e fra istituzioni ai vari livelli di governo per dare continuità nella definizione delle scelte, disegno di condizioni di assessment dell’esperienza continua a contrasto degli eventi avversi in atto e per la prevenzione del rischio per il futuro (Hardy, Maguire, Power & Tsoukas, 2020).

Approcci istituzionali, politici, di management e sociali per superare gli stati di crisi: il caso italiano

Lo scoppio della pandemia e la successiva dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo italiano il 31 Gennaio 2020[7], ha determinato il verificarsi di una serie di conseguenze politiche, istituzionali e di management.

Sul profilo istituzionale, deve anzitutto constatarsi l’assenza di un Piano pandemico aggiornato, contenente una selezione adeguata di attività e di azioni specifiche che ogni Istituzione, a qualsiasi livello di governo, avrebbe dovuto porre in essere. L’importanza di un Piano risiede infatti nella necessità, soprattutto in momenti di crisi, di non lasciare nulla all’improvvisazione e di poter affidarsi ad una programmazione puntuale del modello organizzativo, delle risorse necessarie e delle azioni da avviare, anche in termini di formazione del personale coinvolto. La semplice riproposizione di un Piano risalente al 2006[8], ha reso invece evidente la mancanza di moduli gestionali di coordinamento dal centro alla periferia, necessari, proprio nella loro straordinarietà, a governare le istituzioni e ad indirizzarne l’operatività, in un contesto così delicato (Longo, 2018).

Nell’assenza di un tale progetto, la prima fase dell’emergenza è stata gestita dal Dipartimento per la protezione civile e, in particolare, dal Capo Dipartimento, al quale sono stati affidati compiti di coordinamento degli interventi su tutto il territorio nazionale, in continuità con le misure già adottate dal Ministero della Salute e con l’avvalimento di un Comitato tecnico-scientifico appositamente costituito[9]. Ci si riferisce essenzialmente ad attività di soccorso e di assistenza alla popolazione, di potenziamento dei controlli, di rientro dei cittadini italiani dai paesi a rischio e di rimpatrio dei cittadini stranieri nei paesi di origine più esposti al contagio.

Solo con la nomina dell’Amministratore delegato di Invitalia, quale Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica, si è aperta una seconda fase dell’emergenza, in cui sono emerse esigenze di tipo organizzativo, di logistica e di procurement[10]. Non è un caso se, per il raggiungimento degli obiettivi, il Commissario sia stato legittimato ad agire anche in deroga alla vigente normativa in materia di acquisto di beni e servizi. Dal punto di vista del management, tale previsione riconosce al Commissario straordinario il ruolo di acceleratore dei processi, stante la facoltà di poter sia semplificare gli ordinari iter procedurali, sia concentrare i tempi di esecuzione delle decisioni.

Quanto al profilo politico, in una situazione così complessa un aspetto a cui far cenno attiene al ruolo del Governo, in particolare del Presidente del Consiglio dei Ministri, e al suo rapporto con il Parlamento.

L’esigenza di assumere decisioni con rapidità ha spinto il Governo a privilegiare determinati strumenti normativi, in grado di produrre risultati con immediatezza. Ci si riferisce, in particolare, all’uso preponderante dei dpcm e dei decreti-legge[11]. I primi sono divenuti lo strumento ordinario per disporre misure di contenimento e di contrasto alla diffusione del virus, finanche destinati ad incidere, in alcuni casi, su diritti e libertà. Ciò, ha indotto il Governo a ricorre al decreto-legge quale fonte primaria per introdurre deroghe alle previsioni costituzionali in situazioni di emergenza[12]. D’altra parte, anche gli interventi di ristoro sono stati concessi con provvedimenti d’urgenza e le relative misure economiche sono state coperte, sotto il profilo finanziario, con le risorse rese disponibili dai cd. “scostamenti di bilancio”.

Di fatto, l’utilizzo della legislazione d’urgenza ha rafforzato il ruolo del Presidente del Consiglio dei Ministri, anche rispetto ai Ministri. Non solo sotto il profilo formale, in quanto legittimo titolare del potere ma anche per una forte personalizzazione delle scelte politiche compiute, sottolineata da una diffusa attività di comunicazione che ha accompagnato l’adozione di ogni provvedimento.

Inoltre, tali scelte legislative hanno inciso inevitabilmente anche sul rapporto con il Parlamento. L’insieme delle decisioni, sia quelle attinenti al contenimento della pandemia, sia le misure economiche introdotte, hanno alterato il normale meccanismo di dialogo tra l’Esecutivo e le Camere. Ciò, ha richiesto un maggiore raccordo con il Parlamento, in sede di conversione dei decreti-legge e nel caso delle informative rese su questioni tanto delicate quanto politicamente sensibili, sulle quali si era già disposto tramite decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Soprattutto nel secondo caso, il coinvolgimento del Parlamento, più che un mero atto procedurale, deve intendersi come un momento ad alta valenza politica, nel quale ci si confronta su tematiche quali, ad esempio, la libertà di circolazione, l’apertura o la chiusura di attività economiche, le modalità di erogazione del servizio scolastico o di funzionamento dei trasporti. È questo il luogo dove i singoli parlamentari ed i gruppi politici possono esprimere sia una visione generale, sia delle proposte specifiche sull’emergenza in corso. Si tratta di un raccordo reso ancora più necessario dall’esigenza di coinvolgere il Parlamento in decisioni importanti, attinenti ai diritti fondamentali della persona e alle modalità di erogazione dei servizi pubblici essenziali[13].

Quanto al profilo gestionale e di management, il meccanismo decisionale del governo ha coinvolto molto spesso le Regioni e le autonomie locali, sia formalmente, in sede di Conferenza unificata o Conferenza Stato-Regioni[14], sia informalmente. Ciò è avvenuto relativamente ad ambiti di governo condiviso, come nel caso dei settori della sanità e dell’istruzione, sia per quelle decisioni relative alle modalità di esercizio di attività industriali, commerciali, artigianali, ludico-ricreative ed economico-sociali. Le discussioni, infatti, si sono concentrate – prevalentemente – sull’esigenza di bilanciamento del diritto alla salute con gli altri diritti e interessi costituzionalmente rilevanti, soprattutto in relazione al complesso intreccio esistente tra la libertà di circolazione, di iniziativa economica e il diritto all’istruzione pubblica.

In tal senso, basti pensare al funzionamento dei sistemi sanitario e scolastico. Quanto al primo, la complessità è dovuta a vari aspetti. La tutela della salute rientra nelle materie di competenza concorrenza fra Stato e Regioni e, sotto il profilo organizzativo, il sistema sanitario si configura come capillare, diffuso, estremamente professionalizzato e molto sensibile alla politica del territorio. In presenza di una grave emergenza epidemiologica, non è stato facile raccordare le scelte locali agli indirizzi operativi assunti in sede nazionale. Si tratta di processi complessi, il cui obiettivo è declinare l’indirizzo nazionale sui territori. Tanti sono i soggetti che devono interloquire tra loro e che devono, da ultimo, attuare le soluzioni operative. Ciò ha infatti determinato, molto spesso, la riconversione di molti reparti in unit dedicate le “strutture covid”.

Si parla di attività che richiedono competenze gestionali ed organizzative, operative e soprattutto di programmazione, in grado di coniugare più profili, tutti singolarmente complessi[15].

Da questo punto di vista, anche la campagna vaccinale è da ritenersi un’operazione gestionalmente ed organizzativamente complessa. Si tratta, infatti, di assicurare la vaccinazione ad ogni cittadino, dalle grandi città ai più piccoli borghi. La sola predisposizione del Piano è di per sé un atto multiforme ma anche la sua esecuzione dovrà tener conto di numerose variabili: le caratteristiche dei diversi vaccini, la continuità delle forniture, la localizzazione dei centri di vaccinazione, le differenti modalità di conservazione delle dosi.  Anche il profilo della interazione con i cittadini è importante, soprattutto con riferimento alle modalità di chiamata e, a tal fine, all’esigenza di coinvolgere nella campagna vaccinale anche operatori privati, medici di base e farmacie.

Il sistema scolastico non è da meno, quanto a complessità organizzativa e gestionale. Le istituzioni scolastiche, con i vincoli di autonomia normativamente previsti, hanno un rapporto multilivello con il Ministero dell’Istruzione. L’Amministrazione centrale dialoga con le Regioni, attraverso gli Uffici scolastici regionali, sui profili di programmazione del servizio, mentre si rapporta con i Comuni e le Province, relativamente a questioni di edilizia.

Si tratta di attori diversi che interagiscono con le singole istituzioni scolastiche su profili differenti. Un tale disegno organizzativo, attesa la pluralità dei soggetti coinvolti nella gestione, richiede un modello di management flessibile ed inclusivo in ognuna delle Amministrazioni coinvolte. Infatti, se la connessione tra una pluralità di soggetti è già di per sé difficile, lo sarà maggiormente se gli snodi operativi coinvolti non possiedono uno spiccato profilo manageriale.

Tali caratteristiche hanno reso più complesse le attività propedeutiche all’avvio dell’anno scolastico 2020-2021. Infatti, per assicurare il rispetto delle regole del distanziamento sociale prescritte dal Comitato tecnico scientifico e garantire, al contempo, tutte le altre misure di contenimento del virus, è stato necessario costruire un complesso meccanismo, innanzitutto regolatorio, di cui si è dovuto curare l’attuazione.

Prima di tutto, l’indirizzo del Ministero è confluito in apposite linee guida, approvate in Conferenza unificata, assicurando il coinvolgimento di Regioni e degli Enti locali. Conclusa la fase normativa, è stata avviata un’attività amministrativa concreta e operativa, segnata dall’adozione dei decreti attuativi, da trasferimenti di risorse su diversi livelli e, a valle, dalle scelte gestionali da parte delle singole istituzioni scolastiche. Vi sono state interazioni continue sia a livello centrale, con gli organismi rappresentativi delle Regioni e delle autonomie locali, sia a livello decentrato, stante i numerosi momenti di raccordo tra le singole istituzioni e i rappresentanti territoriali competenti. Altrettanto importanti, all’interno di questo processo, sono stati i contatti sviluppati a livello centrale e periferico con le organizzazioni sindacali rappresentative.

Ciò che emerge è un intreccio complesso di condivisioni, rapporti e relazioni, tutti necessari e tutti tenuti con una pluralità di attori, in cui deve identificarsi l’essenza stessa dei processi complessi[16]. L’esito di tali sinergie viene infatti sintetizzato in dati, proposte, problemi.

Tutto ciò, è alla base delle attività operative avviate e delle decisioni assunte che si concretizzano, ad esempio, in procedimenti ad evidenza pubblica funzionali a reperire sul mercato beni e servizi necessari alle istituzioni scolastiche per garantire il distanziamento o per migliorare le aule. Gli effetti di tali scelte non si esauriscono all’interno del sistema dell’istruzione. Le scuole aperte coinvolgono milioni di persone, oltre a insegnanti e studenti, e ciò ha un impatto diretto sui trasporti, altro sistema complesso soggetto alle regole di distanziamento sociale e deputato a garantire il rientro in classe in sicurezza degli studenti.

È evidente, quindi, che il meccanismo decisionale istituzionale è da ritenersi un processo complesso. Tale complessità attiene alla tipologia di decisioni da assumere, alla quantità di soggetti coinvolti nelle decisioni, tutti rappresentanti di interessi politico-istituzionali, anche quelli meno diffusi, e, non da ultimo, all’ambito di applicazione delle decisioni stesse. Basti pensare che ogni decisione assunta ha dovuto sempre tener conto del parere del Comitato tecnico scientifico, in ordine alla situazione epidemiologica e in termini di andamento dei contagi e dell’indice RT. Un simile rapporto tra scienza, tecnica e politica ha costituito un nuovo modello di azione. La scienza ha fornito alla politica un quadro completo della situazione sanitaria e questo ne ha limitato la discrezionalità, specialmente nel momento della scelta delle misure più delicate, restrittive dei diritti della persona. Le decisioni, quindi, pur ricadendo nell’ambito di azione della politica, sono state mediate dal ruolo attivo della scienza.

In situazioni simili è importante rilevare le modalità di esercizio della funzione, soprattutto da parte di chi rappresenta il governo, in termini di leadership (Hughes, 2018; De Clercy, & Ferguson, 2016; Boi, Kuipers, and Overdijk, 2013; AA. VV., 2010). In queste situazioni, infatti, non conta solo la decisione in sé ma anche il modo di comunicarla. È importante che chi assume le decisioni riesca a infondere sicurezza nei suoi cittadini, che sia capace di essere coinvolgente e non divisivo. In tale contesto, la comunicazione pubblica rappresenta uno strumento fondamentale, anche solo con riferimento alle azioni quotidiane del decisore politico. La visita in una scuola, in un villaggio, in un ospedale, comunica al cittadino la vicinanza del leader, la sua consapevolezza dei problemi e il desiderio di dare delle risposte.

Nell’epoca dei social media, infatti non può non tenersi conto del fatto che il dibattito spesso si svolge in rete, con l’impatto che questo genera sull’attività quotidiana di un soggetto pubblico, nonché sulle decisioni assunte a livello istituzionale. Quello della visibilità del decisore politico rispetto alle azioni che la macchina ammnistrativa e il management pubblico devono assumere è profilo di analisi del perimetro dell’azione molto delicato. Sarebbe opportuno evitare una correlazione diretta tra denunce, dibattito sui social e decisioni politiche, perché ciò esporrebbe l’attività istituzionale ed amministrativa ad una gestione casuale, senza alcuna programmazione. I social devono essere, al contrario, un sensore che possa supportare una relazione biunivoca fra decisore politico e istituzioni volta a costruire risposte organiche ai problemi.

In definitiva, con attenzione al caso italiano, si può assumere che la gravissima situazione epidemiologica ha posto a dura prova il nostro sistema politico, istituzionale ed amministrativo. La classe politica, in generale, si è dovuta misurare con problemi rilevanti e con fatti tragici. Le risposte ai problemi e alle esigenze emerse sono state, spesso, condizionate dall’assenza di una esperienza pregressa nella gestione di analoghe emergenze. In casi come questi, è essenziale che la politica abbia visione e concretezza, che sia in grado di delineare scenari d’azione ed essere punto di sintesi per fornire risposte concrete (Tokakis, 2018) [17].

Tutte le istituzioni – comprese le pubbliche amministrazioni – hanno dovuto riadattare il loro modo di agire, anche attraverso strumenti di organizzazione del lavoro differenti quali l’adozione dello smart working generalizzato, senza però avere un’organizzazione capace di connettere, anche tecnologicamente, unità operanti in luoghi diversi e, in alcuni casi, nella completa assenza di un management in grado di governare le strutture operanti in modalità delocalizzata. Inoltre, dal punto di vista operativo, le decisioni sono sorte all’esito di ponderazioni delicate, avvenute sia tra interessi diversi ma meritevoli di tutela, sia tra i vari centri di imputazione di responsabilità, spesso portatori di differenti visioni di indirizzo politico e, in concreto, di scelta finale.

Per operare in un contesto tanto difficile quanto plurale, caratterizzato dall’esistenza di un potere diffuso, è necessaria una governance forte, di cui deve chiarirsi il significato (Hughes, 2018). In particolare, tra le tante definizioni, si ritiene che quella più aderente al contesto debba considerare la pluralità di soggetti che intervengono nell’arena pubblica e nei meccanismi decisionali. Potremmo aggiungere e meglio definire il concetto, ritenendo la governance un modello con più attori, pubblici, privati e no-profit. La complessità di siffatto modello risiede nell’esigenza di sintesi, in termini di output, di risultato, solitamente affidata al soggetto che cura la funzione principale. La sintesi può esprimere una soluzione ai problemi rilevanti, sotto vari profili, ed è un modello operativo in grado di ponderare anche il punto di vista dei molteplici attori sociali coinvolti.

*****

L’obiettivo dello Special Focus proposto è stato quello di analizzare, con differenti punti di vista e con una ampia gamma di strumenti – fondendo approcci teorici e di tipo tecnico –, la risposta delle istituzioni pubbliche all’emergenza sanitaria da Covid-19, offrendo al dibattito pubblico e scientifico una cornice di ricerca e di studio innovativa, attenta alla proposizione di una pluralità di chiavi di lettura e di analisi, con contribuzioni di autori di discipline scientifiche diverse nella proposizione di idee, modelli e chiavi di lettura sui temi affrontati.

Il contributo di apertura della sezione tematica della rivista, dal titolo “Etica e gestione delle emergenze”, è dedicato alla comprensione della pluralità di principi e valori etici che dovrebbero guidare la gestione delle emergenze.  Le norme e i valori, declinati quali obiettivi etici e beni politico-sociali, di cui si discute nel contributo non sono regole o imperativi morali generali, ma coordinate etiche di riferimento, che riguardano riduzione del danno, libertà, giustizia distributiva, trasparenza, onestà, inclusione, e il loro ruolo nel guidare le scelte, seppur nella necessaria prontezza e flessibilità che i momenti di emergenza richiedono. Secondo la tesi sostenuta dall’autore nel saggio, la gestione delle emergenze non riguarda solo la protezione della popolazione, ma anche le modalità concrete con cui superare l’evento negativo, attraverso risposte volte a costruire o ricostruire la comunità civica e rafforzarla, dopo l’evento calamitoso. Dunque, una pianificazione efficace degli interventi per fronteggiare l’emergenza deve fare affidamento alla responsabilità civica e al senso di giustizia e preoccupazione per chi si trova in stato di necessità, ma deve anche essere un’occasione per promuovere nuove prospettive di crescita e miglioramento della società.

Il secondo contributo è dedicato alle istituzioni scolastiche, luogo simbolo dell’emergenza sanitaria. Infatti, la pandemia ha rimesso la scuola al centro del dibattito dell’opinione pubblica, consentendo di focalizzare lo sguardo sulla riapertura in sicurezza delle scuole. Tuttavia, altrettanto importante deve essere anche l’attenzione rivolta alla qualità dell’insegnamento e dei programmi scolastici, in un’ottica di medio-lungo periodo. Il titolo “Scuola e sviluppo, il capitale umano al centro: la lezione del Covid-19” è emblema dell’obiettivo del testo: analizzare il rapporto tra educazione e sviluppo e quindi il legame fra modalità organizzative di ridefinizione delle strutture educative e lo sviluppo dell’economia nel suo insieme. Infatti, l’autore rileva che a lungo si è ritenuto che l’Italia fosse dotata di un capitale umano di alto livello in ragione di naturali attitudini, o di saperi diffusi, o per via della presenta di singole eccellenze, invece, oggi, appare sempre più necessario mirare alla qualità del capitale umano, perché questo è il pilastro di quell’aumento di produttività necessario per uscire dalla trappola della bassa crescita e per far competere il paese in un contesto globale denso di nuove sfide, come quella tecnologica – e non solo – che richiedono skill e figure professionali nuove.

Il terzo saggio, dal titolo “La gestione delle infrastrutture critiche durante la crisi Covid”, dopo aver fornito un inquadramento di ciò che si intende per “infrastrutture critiche”, intende illustrare le principali azioni messe in campo dagli operatori del settore durante la pandemia e le relative iniziative messe in campo dalle autorità pubbliche di riferimento. L’analisi dell’autore è volta dimostrare l’efficacia di tali azioni, al fine di garantire la continuità dell’erogazione dei “servizi essenziali”. Secondo la tesi dell’autore, ciò è stato possibile grazie alla cultura della sicurezza diffusa ex ante tra gli operatori delle “infrastrutture critiche” nazionali e alla adeguata preparazione del personale, consapevole della criticità del servizio erogato e del proprio ruolo e quindi disponibile ad operare anche in situazioni critiche per garantire l’effettiva continuità del servizio. L’esperienza della crisi pandemica e il caso delle infrastrutture critiche ha mostrato quanto sia necessario disporre una adeguata pianificazione della gestione delle emergenze, prevedendo risorse e azioni per fronteggiare la crisi, non solo nel settore specifico preso in esame nel saggio.

La pandemia ha messo al centro del dibattito pubblico un altro tema: il lavoro agile e le sue diverse declinazioni e implicazioni. Due contributi del numero sono dedicati a tale tema, uno dal titolo “Smart working ed emergenza sanitaria: lettura prospettica a partire da Invalsi” e un altro intitolato “Il lavoro agile: un’occasione da non perdere”.

Il primo contributo, prende come modello di analisi l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, Invalsi, dove la sperimentazione dello smart working è stata introdotta dal 2018. Nella fase di emergenza l’Istituto ha accelerato il processo di definizione e firma dei progetti di smart working dei dipendenti che non avevano già attivato questa modalità di lavoro. L’Invalsi, anche durante la pandemia, ha quindi mantenuto le stesse modalità di erogazione dello smart working già attuate nella fase di sperimentazione, estendendole a tutto il personale (ricercatori, tecnologi e personale tecnico-amministrativo). Il saggio, muovendo dal concetto di crisis management di modello integrato di apprendimento organizzativo per la gestione delle crisi, analizza quali cambiamenti prodotti dal lavoro agile nella fase emergenziale possono durare anche dopo la crisi sanitaria ed entrare, quindi, a far parte della cultura organizzativa delle aziende e delle amministrazioni.

Implementare a regime il lavoro agile, anche dopo la fase pandemica, rappresenterà per le amministrazioni pubbliche un “momento della verità” rispetto alla possibilità di reinventare modelli gestionali e di lavoro nuovi. In linea con questa prospettiva, il contributo “Il lavoro agile: un’occasione da non perdere”, offre un quadro interpretativo relativo al lavoro agile. In particolare, viene presentata la catena del valore del lavoro agile e vengono proposti nuovi modelli concettuali e applicativi alternativi, evidenziando le diverse finalità e il grado di applicazione del lavoro agile al settore pubblico. Dunque, secondo la tesi del testo, più le organizzazioni pubbliche si affideranno a questo nuovo modo di lavorare per passare da un modello burocratico tradizionale al paradigma dell’organizzazione agile, più saranno in grado di aumentare le loro prestazioni. Infatti, lo smart working potrà essere una grande occasione per l’abbandono dei modelli tradizionali di organizzazione e l’introduzione di logiche più flessibili, che possano davvero migliorare l’efficienza interna e la qualità dei servizi erogati, la crescita professionale, la motivazione e il commitment dei dipendenti. Dunque, nella prospettiva offerta dagli autori, il lavoro agile richiede una riflessione più profonda su come ridisegnare il modello organizzativo, ripensando anche il ruolo dei manager pubblici.

Nella sezione dialoghi della rivista, è presente il saggio dal titolo “Invecchiamento demografico e sostenibilità della spesa pensionistica”, che è volto ad illustrare le motivazioni alla base delle decisioni politiche italiane in materia pensionistica, illustrando il quadro istituzionale europeo in cui sono maturate, e analizzando gli effetti che tali riforme hanno avuto sulla spesa pubblica del nostro paese in un confronto internazionale. Secondo le autrici, se in Italia venisse intrapreso un percorso significativo di crescita economica, sarebbe possibile attenuare considerevolmente gli effetti negativi dell’invecchiamento della popolazione sulla spesa pensionistica, che rappresenta la voce più rilevante nell’ambito della spesa pubblica.

Infine, nella sezione Close Up vi sono due contributi relativi a casi applicativi. Nell’articolo “Una misurazione condivisa della performance organizzativa: l’esperienza degli indicatori comuni per le funzioni di supporto” si analizza il modello di misurazione delle performance del Dipartimento della funzione pubblica, che ha individuato una serie di indicatori per misurare le funzioni amministrative di supporto, comuni a tutte le organizzazioni pubbliche, con l’obiettivo finale di promuovere la misurazione della performance e garantire benchmark delle prestazioni. Nel testo “Indagine sull’amministrazione difensiva” viene approfondito il tema dell’amministrazione difensiva al fine sia di fornirne una sua quantificazione nel contesto italiano sia di proporre soluzioni per limitare le potenziali distorsioni che questo fenomeno potrebbe indurre rispetto al buon funzionamento dell’amministrazione pubblica.

I contributi, nella loro pluralità di visioni, segnano tutti una funzione propositiva sull’innovazione quale leva da utilizzare nella gestione degli stati di crisi. L’innovazione può veicolare il “privilegiare” il tempo allo spazio. È necessario determinare una rottura fra i vecchi modi di pensare e quelli attuali. Contemporaneamente, è doveroso pensare alla crescita delle conoscenze e ai passaggi da un paradigma o da una teoria scientifica ad un’altra come a processi non lineari ma che avvengono per salti (Boyd & Khun, 1983). Forse è arrivato il momento di superare la teoria della resilienza nelle istituzioni pubbliche a favore di modelli teorici che valorizzino “scatti in avanti”, portatori anche di contenuti esperienziali, ma in grado di definire, modellizzare e normare il cambiamento.

 

[1]       Cfr. Dall’esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium, www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

[2]       Among the highest likelihood risks of the next ten years are extreme weather, climate action failure and human-led environmental damage; as well as digital power concentration, digital inequality and cybersecurity failure. Among the highest impact risks of the next decade, infectious diseases are in the top spot, followed by climate action failure and other environmental risks, as well as weapons of mass destruction, livelihood crises, debt crises and IT infrastructure breakdown.

[3]       Fu il disastro ambientale di Bhopal, in India nel 1984, a creare condizioni di profonda riflessione sui temi etici legati al comportamento delle imprese da cui scaturì, a partire dai paesi anglosassoni, un’accelerazione nella elaborazione di paradigmi teorici legati a corporate social responsibility e green management.

[4]       Nel 2005 l’uragano Katrina ha colpito gli stati centrorientali degli Stati Uniti sul Golfo del Messico. Tra i più distruttivi uragani che si siano abbattuti sugli Stati Uniti, ha provocato 1500 vittime circa oltre ad essere stato il più dannoso in assoluto in termini economici.

[5]       Il Sindaco di New Orleans, il Governatore dello Stato della Louisiana, il Direttore del FEMA – Federal Emergency Management Agency – agenzia  del Department of Homeland Security US, e il Presidente degli Stati Uniti intrapresero un’azione di delegittimazione reciproca nell’individuazione delle responsabilità circa le caratteristiche delle risposte all’eccezionale evento avverso mettendo in evidenza, fra gli osservatori, la mancanza di una chiara interrelazione istituzionale, politica ed organizzativo-gestionale in tali casi.

[6]       www.weforum.org/reports/the-global-risks-report-2020

[7]       Si ricorda che la prima dichiarazione dello stato emergenza, della durata di sei mesi, è avvenuta con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020. L’11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo aver valutato i livelli di gravità e diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, ha dichiarato il focolaio di COVID-19 una pandemia.

[8]       Si tratta del “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”, pubblicato dal Ministero della Salute nel 2006, secondo le indicazioni dell’OMS del 2005, in sostituzione del precedente Piano, pubblicato nel 2002. Disponibile su: www.salute.gov.it.

[9]       Cfr. la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, pubblicata in G.U., Serie Gen., 1° febbraio 2020, n. 26.

[10]      Ai sensi dell’art. 122 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 marzo 2020, il dott. Domenico Arcuri è stato nominato Commissario straordinario per l’emergenza COVID-19.

[11]      Tale scelta è stata ampiamente dibattuta in dottrina. Si vedano, ex multis, M. Belletti, La “confusione” nel sistema delle fonti ai tempi della gestione dell’emergenza da Covid-19 mette a dura prova gerarchia e legalità, in Osservatorio AIC , 3/2020; M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Rivista AIC, 2/2020; G. Azzariti, Il diritto costituzionale d’eccezione, in Costituzionalismo.it, 1/2020; M. De Nes, Emergenza Covid-19 e bilanciamento di diritti costituzionali: quale spazio per la legalità sostanziale?, in Biolaw Journal, 16 marzo 2020.

[12]      Cfr. decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Per una rassegna degli atti emanati dal governo, recanti le misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, si consulti: www.gazzettaufficiale.it/attiAssociati/1.

[13]      Sulla centralità della regolazione e del principio di rule of law nel processo di gestione delle crisi, si vedano: S. Ceccanti, Verso  una  regolamentazione  degli  stati  di  emergenza  per  il  Parlamento:  proposte  a  regime  e  possibili  anticipazioni  immediate, in biodiritto.org, 17 marzo 2020; N. Lupo, L’attività parlamentare in tempi di coronavirus, Forum di Quaderni Costituzionali, 2/2020, F. Biondi e P. Villaschi, Il funzionamento delle Camere durante l’emergenza sanitaria, in Federalismi.it, 18/2020; Laws and crisis management, in Global Encyclopedia of Public Administration, Springer International Publishing, 2016.

[14]      Cfr. Decreto legislativo n. 281/97 che ne definisce la composizione, i compiti e le modalità organizzative ed operative ed è costituita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e dalla Conferenza Stato-Città ed autonomie locali che si riunisce almeno due volte mese. Partecipa ai processi decisionali che coinvolgono materie di competenza dello Stato e delle Regioni, al fine di favorire la cooperazione tra l’attività statale e il sistema delle autonomie, esaminando le materie e i compiti di comune interesse, svolgendo anche funzioni consultive.

[15]      Cfr. AA. VV., Organization of crisis management in public administration, in International Journal of Management, Vol. 11, 2020; V. Tokakis, P. Polychroniou, G. Boustras, Crisis management in public administration. The three phases for safety incidents, in Safety Science, 2019; D. Blondin, A. Boin, Managing crises in Europe: a public management perspective, in Journal of Contingencies and Crisis management, 2017.

[16]      Cfr. A. Pirazzoli, Le relazioni tra istituzioni pubbliche, in AA.VV., Management pubblico, Egea, 2018, 219 ss.

[17]      Per una disamina sulla gestione della crisi nel settore pubblico, classificazione e determinazione degli strumenti di valutazione, si vedano: V. Tokakis, Managing conflict in the public sector during crises: the impact of crisis management team effectiveness, in International Journal of Emergency management, vol. 14, n. 2/2018;  C. Kalbassi, Identifying crisis threats: a partial synthesis of literature on crisis threat assessment with relevance to public administration, in Journal of risk analysis and crisis response, vol. 6, n. 3/2016; U. Rosenthal, A. Boin, Managing crisis: threats, dilemmas, opportunities, L.K. Eds, Springfield, 2001.

Scarica il PDF

English Version PDF