Editoriale

di Luigi Fiorentino - Presidenza del Consiglio dei Ministri
e Elisa Pintus - Università della Valle d’Aosta


Il governo della spesa pubblica è tema denso di opportunità di elaborazione di pensiero, di modellizzazioni e di analisi sul campo. Esso ha oramai assunto rilievo specifico sia per il susseguirsi di decisioni politiche sulle determinazioni delle aree di revisione della spesa e sugli ambiti specifici sui quali le decisioni stesse impattano sia per le implicazioni economiche e sociali sottese alle organiche decisioni di politica pubblica.

di Luigi Fiorentino – Presidenza del Consiglio dei Ministri

e Elisa Pintus – Università della Valle d’Aosta

Governo della spesa pubblica: modelli interpretativi e strumenti di management

I l governo della spesa pubblica è tema denso di opportunità di elaborazione di pensiero, di modellizzazioni e di analisi sul campo. Esso ha oramai assunto rilievo specifico sia per il susseguirsi di decisioni politiche sulle determinazioni delle aree di revisione della spesa e sugli ambiti specifici sui quali le decisioni stesse impattano sia per le implicazioni economiche e sociali sottese alle organiche decisioni di politica pubblica.

L’affrontare il tema, determinando come elemento spartiacque” l’ambito nominale, consente di proporre un punto di vista sfidante: è bene ragionare non di razionalizzazione della spesa pubblica, come è pensiero comune, ma piuttosto di governo della spesa. Questo passaggio sottende, evidentemente, un ampliamento dello sguardo dal particolare – specifiche azioni di taglio delle risorse disponibili – al generale, dallo spazio d’azione delimitato-settoriale, come la sanità, all’insieme delle istituzioni pubbliche nel loro complesso, da un arco temporale limitato – definito dai cicli politici – ad un arco temporale coerente alle scelte strategiche pubbliche di più ampio respiro. In definitiva, osservare i più articolati e complessi modelli di governo della spesa nel loro insieme con lo sguardo del ricercatore consente di non confinare il tema al solo ambito contingente determinato da provvedimenti legislativi. È possibile, dipiù è necessario, analizzare il governo della spesa anche come processo economico e manageriale. In effetti, una prima questione che si svela man mano che si approfondisce la conoscenza del fenomeno anche applicata ai casi, è quella se sia possibile riflettere sulla spesa pubblica senza collocare gli strumenti che consentono di analizzarla fuori dal contesto della evoluzione delle istituzioni pubbliche. È indubbio, difatti, che i modelli istituzionali via via configuratisi in Italia, ma non solo nel nostro Paese (Munno & Pintus 2019), abbiano determinato l’agire nel loro complesso delle istituzioni pubbliche. Accentrare o decentrare decisioni, definire architetture istituzionali più attente alla responsabilità manageriale o più attente alla legittimazione formale, disegnare meccanismi di funzionamento più attenti all’azione giorno per giorno piuttosto che alla tensione verso un orizzonte temporale più ampio, sono questioni che hanno una loro specifica importanza rispetto alla maturazione di modelli istituzionali che, evidentemente, hanno rilievo per l’approccio che è stato definito per governare la spesa.

Accanto alla determinazione della formula istituzionale altrettanto dirimente, ai fini dell’analisi del fenomeno del governo della spesa pubblica, è l’analisi circa l’intrinseca natura dell’azione sottostante.

Tale osservazione nasce anche dall’analisi comparata, oggi possibile con un grado di approfondimento sempre maggiore, di molteplici casi che si riferiscono ad una pluralità considerevole di paesi anche oltre i confini del continente europeo (Oecd, 2017).

In Gran Bretagna, per esemplificare un caso analizzabile sia sotto il profilo della continuità che delle modalità d’intervento, dal 1998, a intervalli temporali definiti ex-ante che vanno dai due ai quattro anni, si è pianificato un processo di revisione della spesa chiamato spending review, (Sr), o comprehensive spending review (Wheatley, Maddox & Bishop, 2018), che ha evidenziato un elemento, in realtà, strutturale: la questione circa la natura politica dell’attività di revisione della spesa. Dal processo di Sr si dipana, difatti, un insieme di azioni istituzionalmente necessarie per intercettare opzioni attuabili concretamente e per determinare scelte puntuali che permettano ai decisori politici di definire lo spazio per nuove spese considerate necessarie o per tagliare la spesa aggregata. È da li, dalla natura politica dell’attività di gestione della spesa, che è necessario partire per comprendere quali possano essere gli elementi di analisi del fenomeno.

Molti governi hanno istituzionalizzato il processo di revisione della spesa come fase integrante della preparazione del budget. Così come, in molti paesi, si riflette sui profili organizzativi e gestionali che si determinano sia al fine di definire i processi di revisione della spesa che per dare luogo al governo della spesa nel suo complesso tanto a livello centrale che a livello locale.

In alcuni paesi, fra i quali, appunto, la Gran Bretagna, la revisione della spesa è un processo eminentemente politico, non così negli Stati Uniti. Cosa accade in Italia? Come si determina formalmente una cabina di regia e quale mandato politico, economico e strategico essa assume e interpreta?

Quando può essere definito efficace il processo di revisione della spesa? Quali sono i criteri di valorizzazione delle informazioni per il processo di spending review?

Come si costruisce il processo di analisi della spesa? In che modo vengono progettati, settati e implementati gli indicatori di prestazione atti a determinare opzioni di risparmio?

Qual è l’arco temporale congruo per offrire ciclicità al processo? Come si determina l’azione di controllo successiva alla revisione della spesa e come può diventare un trend virtuoso per l’economicità della pubblica amministrazione?

Come si può determinare un processo di valutazione della spesa pubblica dettato dai principi dell’interesse generale della società atto a determinare meccanismi di riesame della spesa? Qual è l’impatto sulla collettività della revisione della spesa? Si possono coinvolgere gli stakeholder per determinare un processo di sostenibilità sociale della Sr?

Come si stanno sviluppando, nei diversi paesi che hanno accolto la Sr, riflessioni e studi su progettazione, selezione e conduzione delle valutazioni del governo della spesa pubblica?

Tali quesiti sono aree critiche di osservazione del fenomeno che si intende indagare con questo numero di Ripm, aprendo, come è compito di una rivista, a riflessioni che non si esauriranno nello spazio stesso del numero in uscita.

Al fine di comprendere quando il fenomeno che si intende osservare ha avuto origine e quali siano state le modalità di approccio sotto il profilo politico e istituzionale, di seguito, si opera una disanima storicamente attenta alle differenti fasi che si sono via via succedute nell’arco di quaranta anni.

Nel nostro Paese, i processi di razionalizzazione della spesa pubblica sono stati, per lo più, visti come strumenti eccezionali in periodi di crisi finanziaria. In realtà, ciclicamente, i governi che si sono succeduti hanno utilizzato commissioni di studio, singoli specialisti o, più recentemente, commissari per la spending review, per formulare proposte di revisione di aree di spesa pubblica, al fine di ottenere risparmi e migliorare l’efficienza ed il rendimento dell’amministrazione. Di tali iniziative, di seguito, si citano alcune che, negli ultimi quaranta anni, hanno avuto, per l’autorevolezza degli attori coinvolti e per i temi trattati, un rilievo specifico. In particolare, si segnala la commissione tecnica per la spesa pubblica, istituita nel 1981, presso il ministero del tesoro. Successivamente, dopo la sua soppressione – avvenuta con la legge finanziaria per il 2003 – fu istituita per un breve periodo, il biennio 2007/2008, la commissione tecnica per la finanza pubblica. Entrambe nacquero come strutture stabili, di supporto agli organi di indirizzo politico ed operanti con finalità di riforma in virtù dell’analisi della spesa pubblica, nonché dell’efficienza della spesa nei vari settori, con compiti di revisione della spesa ed analisi dei bilanci pubblici (Mef, 2008). Tra le altre iniziative, vanno ricordate le seguenti: la “Commissione per la verifica dell’efficienza e della produttività della spesa pubblica” – presieduta da Sergio Steve – nonché l’istituzione del commissario straordinario per la spending review, Enrico Bondi, poi Dino Piero Giarda, ministro senza portafoglio, successivamente delegato a esercitare, tra l’altro, funzioni di “analisi e studio per il riordino della spesa pubblica”, Carlo Cottarelli, anch’egli nominato, nel novembre 2013, commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, successivamente sostituito dal deputato Yoram Goutgeld (Hinna & Marcantoni, 2012). Al di là di una valutazione degli esiti delle attività sia delle strutture che dei commissari, per lungo tempo, soprattutto le prime, sono state viste come strumenti per bypassare tradizionali modalità di decisione sulla allocazione delle risorse e per sopperire alle carenze dell’amministrazione ordinaria, portatrice per molti anni di una cultura burocratico-contabile, lontana dall’evoluzione che gli strumenti di bilancio e di programmazione andavano acquisendo in altri paesi, soprattutto nella cultura anglosassone (Wildavsky, 1964). La politica – intendendo il vertice politico del governo e, nel caso esaminato, il ministro del tesoro – nella dialettica con la macchina burocratica tenta di apportare innovazioni e mutamenti, frutto della personale esperienza dei vertici o, finanche, di contaminazioni internazionali. Al di là del pur importante contributo culturale costruito soprattutto dalle citate strutture, è mancata, tuttavia, quell’opera di fusione di differenti elementi dell’amministrazione che, sola, poteva produrre i necessari cambiamenti nei vari livelli di governo e nelle prassi operative dell’amministrazione (Willoughhby, 1918). In questi casi per determinare cambiamenti sostanziali e fondamentali su macrostrutture, occorre anche un’interazione tra cultura politica, cultura amministrativa e cultura della società, oltre a politiche di reclutamento del personale miranti ad introdurre competenze avanzate in un determinato settore (Peters, 1978), che apportino stabilmente, quel know how di cui le istituzioni pubbliche sono, spesso, deficitarie.

Se il lavoro di ingegneria istituzionale fondato sulla strutturazione di attori e unità istituzionali e organizzative ha avuto origine così lontana nel tempo, ci si interroga sul perché i lavori istruttori e tecnici nei processi di revisione della spesa, siano stati affidati, frequentemente, negli ultimi decenni, ad attori esterni all’amministrazione latu sensu. La risposta a tale istanza non può non considerare che, per lunghi anni, la stabilità dell’amministrazione, del governo centrale in questo caso, ha fatto da contraltare all’instabilità degli assetti politici e di governo, senza, comunque, un disallineamento rispetto ai ritmi politici, perché, com’è noto, tutto avveniva all’interno delle stesse alleanze politiche. Quando, negli anni ottanta dello scorso secolo, questa corrispondenza – peraltro già attenuatasi nella seconda metà degli anni settanta con l’ingresso della compagine di sinistra nell’area di governo – salta, inizia ad emergere sempre più nettamente la debolezza dell’amministrazione, sia come supporto tecnico all’attività del governo sia in termini di sistema capace di generare innovazione.

Infatti, le culture politiche che entrano, con responsabilità diverse, nell’area di governo e quelle che, successivamente, ne faranno parte, evidenziano sempre di più l’esigenza di cambiamenti nel sistema delle amministrazioni pubbliche. Emblematico di una generale istanza di innovazione, che continua fino ai giorni nostri, è il “Rapporto sui principali problemi della amministrazione dello Stato”.

Di fatto, il ricorso ad attori ed entità esterne aveva l’obiettivo non solo di apportare nelle amministrazioni competenze tecniche diverse rispetto a quelle presenti nelle amministrazioni, ma anche soggetti provenienti da ambienti culturali che andavano oltre l’amministrazione pubblica e, forse, rispecchiavano in modo più fedele i cambiamenti che si stavano producendo sul piano politico (Melis, 2014).

Nell’ultimo biennio, le politiche di revisione della spesa sono divenute sempre di più parte integrante del processo di bilancio. Gli obiettivi di contenimento definiti in sede politica sono realizzati concretamente dalle singole istituzioni pubbliche. Non si tratta, quindi, di proposte formulate da soggetti esterni al dipartimento della ragioneria generale dello stato, bensì sono le amministrazioni pubbliche e la ragioneria generale a svolgere tale lavoro, con un attento monitoraggio politico, che attesta la sensibilità delle scelte.

Quali sono i limiti delle politiche di revisione? Guardando storicamente alle attività di revisione della spesa svolte in Italia, il tema del contenimento e della razionalizzazione è stato sempre visto come funzionale a processi per rendere efficiente in modo complessivo la pluralità delle strutture pubbliche. Non sempre, però, tale obiettivo è stato raggiunto. Infatti, mentre il contenimento della spesa viene realizzato, con operazioni di riduzioni, lineari o meno, l’obiettivo dichiarato più importante, di rendere efficienti i processi di spesa e il funzionamento delle strutture, non sempre viene raggiunto. Perché accade questo? Perché, ad esempio, mentre dal 2008 in avanti, il sistema pubblico ha perso, come conseguenza delle politiche di contenimento della spesa, più di trecentomila unità di personale non si è parallelamente proceduto a ridefinire il perimetro funzionale dello stato e delle professionalità occorrenti? Anche per questo, oggi molte istituzioni pubbliche rischiano la crisi istituzionale per carenza di risorse umane – complice anche la cd. normativa su quota cento –. Ciò avviene perché le amministrazioni pubbliche in Italia non sempre hanno una cultura manageriale (Cassese & Torchia, 2014) complessiva e capillare in ogni singola istituzione. A differenza di quanto avviene nel settore privato, soprattutto all’estero, nelle pubbliche amministrazioni non si sono verificate vere e proprie esperienze integrate, radicali e totalizzanti di innesto della cultura di management.

Ciò ha impedito il formarsi di una cultura gestionale e organizzativa stabile, interiorizzata e pervasiva anche perché, la diffusa prevalenza di una cultura giuscontabile, ha fatto si che si trascurassero gli aspetti più tipicamente gestionali che determinano l’efficienza delle istituzioni pubbliche.

Come ormai statuito, il governo della spesa pubblica è tema che, da anni, riguarda tutte le moderne democrazie. Non solo perché le risorse oggetto della spesa sono necessarie al funzionamento degli stati ma anche perché dalle modalità disegnate per il loro impiego dipendono i risultati raggiunti in termini di performance del sistema.

Ogni stato si misura con queste sfide alla ricerca costante di un equilibrio sotteso alle scelte di spesa, nel rispetto di vincoli e parametri economici e finanziari. Proprio la ricerca di questo equilibrio ha portato alla istituzione di sistemi di controllo della spesa, o spending review, sempre più diffusi nei paesi Oecd, come si potrà notare dall’analisi che viene offerta nella sezione close-up della rivista, in cui è stata delineata sia una concisa panoramica di alcune esperienze di governo della spesa, sia la summa delle linee generali e delle caratteristiche del modello, al fine di fornire strumenti per l’analisi del tema affrontato nello Special Focus di Ripm|Volume 2|Numero2, dedicato proprio al cruciale e delicato argomento del governo della spesa.

In particolare, lo special focus presenta tre contributi caratterizzati dall’intento di affrontare l’analisi dell’esperienza italiana da diversi punti di osservazione.

Nel contributo “La revisione della spesa: per un discorso sul metodo”, vengono analizzate le esperienze dei programmi di revisione della spesa, attuati in Italia a partire dal 2011, il focus è sul metodo scelto e sull’approccio adottato, in alcuni casi si tratta di approcci di tipo top down, in altri, come si vedrà, all’opposto, di tipo bottom up e inclusivo. Il discorso sul metodo prosegue poi con attenzione al merito. In particolare l’autore si interroga su un possibile superamento dell’approccio di tipo “revisione della spesa”, portando nel dibattuto una questione fondamentale: partendo dalla considerazione che importanti risultati in termini di risparmio e miglioramento dell’efficienza si sono avuti anche attraverso processi di riconfigurazione di sistemi organizzativi complessi, operati da grandi imprese internazionali, e in Italia da alcuni sistemi sanitari regionali, quanto e come si può migliorare il governo della spesa pubblica attraverso l’introduzione di riorganizzazioni delle amministrazioni e l’introduzione di modelli performanti di management?

Nel contributo “La spending review nel processo di bilancio: riflessioni sulla prima applicazione dell’art. 22-bis della legge 196/2009”, si analizza l’applicazione della procedura di individuazione degli obiettivi di risparmio di spesa dei ministeri. Si tratta di un’importante novità introdotta nel 2018, che mira a integrare, in maniera sistematica, il processo di revisione della spesa nel ciclo di bilancio, rafforzando il legame tra la definizione degli obiettivi macro finanziari e le scelte allocative. È importante notare come, nei vari casi presi in esame, l’implementazione della procedura ha determinato una maggiore responsabilizzazione delle istituzioni pubbliche nel predisporre le proposte di bilancio e una più accorta riconsiderazione delle previsioni a legislazione vigente; inoltre, la pubblicazione della documentazione prodotta nell’ambito della procedura ha favorito la diffusione di informazioni di interesse pubblico. Ciò a riprova dell’importanza, nella gestione della spesa e delle risorse, del ruolo che giocano le amministrazioni pubbliche che sono chiamate ad attuare le iniziative di revisione per il raggiungimento degli obiettivi di spesa, un ruolo delicato che lo stesso legislatore ha assegnato esplicitamente alle amministrazioni attraverso la riforma della costituzione con la legge costituzionale n.1 del 2012.

Per far fronte alle grandi responsabilità a cui sono chiamate le amministrazioni pubbliche, si afferma, da un lato, è importante costruire modelli e strumenti per migliorare il loro lavoro, dall’altro, occorre rafforzare l’aspetto delle risorse umane sotto il profilo qualitativo e quantitativo. Proprio questo tema viene affrontato nel testo “Spesa pubblica e assunzioni nelle amministrazioni dello stato tra presente e futuro”; nel contributo si analizza il percorso normativo che ha caratterizzato il settore pubblico con l’introduzione di misure restrittive sulle assunzioni e sulla spesa per il personale che, sebbene abbiano comportato riduzioni della spesa, hanno innalzato l’età media dei dipendenti pubblici, generando una cattiva distribuzione del personale e delineando una pubblica amministrazione non in grado di adattarsi alle dinamiche del cambiamento necessarie per la modernizzazione del sistema pubblico italiano nel suo complesso e per fornire risposte ai nuovo bisogni sociali ed economici emergenti. Ultimamente, invece, i recenti interventi legislativi, in particolare la programmazione del fabbisogno del personale e le nuove politiche di reclutamento, stanno intervenendo per rilanciare il pubblico impiego. Nel contributo si fornisce una prima analisi delle novità introdotte e si offre una valutazione dell’impatto delle stesse.

Nella sezione dialoghi, si è selezionata l’analisi di un caso. Esso riguarda un’esperienza regionale, quella della regione Lazio, nella quale si propone l’osservazione dei sistemi di programmazione e di come gli stessi possano incidere sull’organizzazione, in particolare nell’attuale fase di vita delle amministrazioni pubbliche che devono misurarsi quotidianamente con la crisi finanziaria e gestionale. Nell’articolo “In cerca di integrazione dalla programmazione all’implementazione: Il caso della regione Lazio” si identificano tre macro-fasi di analisi – diagnosi e terapia d’urto, terapia, riabilitazione – attraverso le quali si analizza come le leve della programmazione e del controllo vengono messe in atto nel modello laziale.

In particolare, gli autori hanno utilizzato il framework di Simons “Le leve del controllo” (1995) quale modello teorico per l’analisi del caso, al fine di verificare come le quattro leve – diagnostica, interattiva, vincoli, valori – siano applicate in base alle specifiche caratteristiche dell’esperienza in esame. Si tratta di un esercizio di valorizzazione che consente di applicare il quadro teorico alla realtà e di verificare sul campo le scelte adottate.

Riferimenti Bibliografici

Cassese, S. & Torchia, L. (2014), Diritto amministrativo. Una Conversazione, Bologna: Il Mulino.

Hinna, L. & Marcantoni, M. (2012), Spending review. È possibile tagliare la spesa pubblica italiana senza farsi male?, Roma: Donzelli.

Melis, G. (2014), Fare lo stato per fare gli italiani, ricerca di storia delle istituzioni dell’Italia unita, Bologna: Il Mulino.

Ministero del tesoro – Commissione tecnica per la spesa pubblica (1987), Osservazioni e raccomandazioni della commissione tecnica per la spesa pubblica.

Ministero dell’economia e delle finanze – Commissione tecnica per la finanza pubblica (2008), Rapporto 2008.

Munno, E. & Pintus, E. (2019), Il governo della spesa pubblica: valorizzazione dei modelli, analisi delle cornici istituzionali e confronto fra casi, RIPM, – Vol.2 – n.2|2019.

Natalini, A. (2006), Il tempo delle riforme amministrative, Bologna: Il Mulino.

Oecd (2017), Spending review, in Government at a Glance 2017, Oecd Publishing.

Peters, G. (1978), La pubblica amministrazione, Bologna: Il Mulino.

Wheatley, B., Maddox, B. & Bishop, T. K. (2018), The 2019 Spending Review UK How to run it well, Institute of government.

Wildavsky, A. (1964), The politics of the budgetary process, Boston: Little, Brown and Company

Willoughby, F. W. (1918), The movement for budgetary reform in the states, Orange: Wentworth Press

 

Scarica il PDF