Management pubblico: evoluzione della disciplina e delle riforme

di Elio Borgonovi - Università Bocconi
In Italia le conoscenze di management pubblico si sono sviluppate a partire dagli anni ’70 e negli anni ’80 facendo riferimento a un modello concettuale diverso da quello del contesto nord americano, infatti l’economia aziendale, il cui manifesto fondativo di G. Zappa risale al 1927, identifica quattro classi di istituzioni socio-politiche [...]

di Elio Borgonovi – Università Bocconi

Gli studi di economia aziendale applicati alla PA e il NPM

I n Italia le conoscenze di management pubblico si sono sviluppate a partire dagli anni ’70 e negli anni ’80 facendo riferimento a un modello concettuale diverso da quello del contesto nord americano, infatti l’economia aziendale, il cui manifesto fondativo di G. Zappa risale al 1927, identifica quattro classi di istituzioni socio-politiche (famiglie, istituzioni pubbliche, imprese e, più recentemente, istituzioni private non profit) nel cui ambito si svolgono processi economici di produzione, trasferimento, consumi, risparmi e investimenti. Questi ultimi costituiscono la dimensione economica e identificano aziende pubbliche e private, di produzione, consumi, risparmi e investimenti della ricchezza. Questo schema concettuale per lungo tempo è rimasto applicato solo parzialmente al mondo delle imprese, ma a partire dagli anni ’70 un gruppo pioneristico di studiosi ha iniziato ad applicare i principi e i criteri di efficacia, efficienza ed economicità anche alle amministrazioni pubbliche locali, regionali e nazionali, agli enti funzionali (economici e non economici), alle aziende e imprese di produzione, alle agenzie di cui esse hanno la proprietà o il controllo1. Negli anni ’80 un numero crescente ma ancora limitato di studiosi ha rivolto i propri studi al settore pubblico con riferimento alle problematiche di contabilità pubblica come strumento di supporto a governo, programmazione, controllo, contabilità dei costi, organizzazione e gestione del personale, gestione finanziaria e degli investimenti, sistemi informativi, rapporti con i cittadini.

Si può dire quindi che gli studi di economia aziendale applicati alle amministrazioni pubbliche si siano sviluppati in Italia in parallelo all’affermazione del New Public Management (NPM) in Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti. Un parallelismo che peraltro si inseriva in due modelli concettuali diversi. Uguali o molto simili erano gli strumenti, ma la differenza fondamentale sta nel fatto che, secondo lo schema concettuale dell’economia aziendale italiana, i fini di interesse pubblico non sono perseguiti sulla base dei meccanismi di autoregolazione del mercato, mentre il modello teorico di riferimento del NPM era quello della “autoregolazione del mercato” basato sulla competizione. Differenza che si è manifestata anche nell’uso dei termini, in quanto in Italia negli anni ’80 si faceva riferimento alla “economia aziendale applicata alle amministrazioni pubbliche” o al “passaggio dal modello burocratico, basato sul rispetto delle procedure, al modello manageriale, basato sulla valutazione dei risultati e del rapporto risultati-risorse”, mentre a livello internazionale si è aggiunta la specificazione di “new” rispetto alla denominazione generale di public management.

Le riforme degli anni 90’ e il management pubblico

La fine degli anni ’80 e gli anni ’90 sono caratterizzati da fondamentali riforme nelle amministrazioni pubbliche e nel settore pubblico più in generale che hanno dato spazio ai principi, criteri, metodi, strumenti di management. Una evoluzione stimolata dalle pressioni derivanti dai cambiamenti economico-sociali e politici, dalle analisi sulle inefficienze delle amministrazioni pubbliche sulle interferenze della politica sull’amministrazione e in parte anche dal contributo degli studi economico-aziendali. Si fa riferimento tra le tante normative alla L. 142/90 e L. 241/90, L. 29/92, L. 81/93, decreto 77/95 e all’insieme delle cosiddette riforme Bassanini della fine degli anni ’90, senza citare numerose altre norme che per semplicità si omettono. Si può sottolineare che in questo periodo vi è stata una coerenza, o almeno una certa convergenza, tra contenuti delle riforme, riproposizione della separazione tra politica e amministrazione, riconoscimento di una maggiore autonomia all’amministrazione e alla dirigenza, controllo spostato sui risultati rispetto agli atti e alle procedure, evoluzione e affinamento degli studi di management pubblico, legittimazione della stessa all’interno delle università con l’introduzione di un corso di laurea in economia e management delle amministrazioni pubbliche nelle facoltà di economia aziendale (riforma dell’università a metà degli anni ’90), introduzione di corsi di laurea e di insegnamenti a vario livello, quindi una specie di circolo positivo di innovazione che ha avuto una decelerazione progressiva alla fine degli anni ’90. Si può sottolineare che in questo periodo si sono manifestati due fenomeni di segno contrapposto. Il primo riguarda la ricerca di una interdisciplinarità tra studiosi di management pubblico, scienza della politica, diritto amministrativo, economia pubblica con risultati alterni, in alcuni casi estremamente positivi e in altri con le difficoltà di far convergere linguaggi e modelli concettuali diversi. Il secondo fenomeno, sicuramente di carattere negativo, riguarda il fatto che un certo numero di studiosi, consulenti, formatori si sono avvicinati al settore pubblico pensando al semplice trasferimento delle logiche di impresa e di mercato, spesso senza avere l’accortezza o il rigore scientifico di comprendere a fondo le differenze dei due contesti.

Il nuovo secolo e l’evoluzione della disciplina

Il nuovo secolo si è aperto sotto il segno delle politiche del settore pubblico, condizionate dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica prima per rispettare i parametri di ingresso nell’euro e, in seguito, dall’esigenza di rispettare le regole per la permanenza nel sistema. Politiche accentuate dopo la crisi del 2007-2008 e della scelta europea di affrontarla sulla base del principio di austerity. Questa situazione ha determinato una divaricazione rispetto al periodo precedente. Le riforme, le leggi o le normative riferite alle amministrazioni pubbliche sono state caratterizzate dall’obiettivo di contenimento della spesa anche a costo di progressiva riduzione dell’autonomia gestionale delle singole amministrazioni e della dirigenza (tipicamente vincoli di bilancio, blocco del turnover, blocco dei contratti e degli scatti stipendiali nelle amministrazioni pubbliche). Le riforme delle università, anch’esse caratterizzate da logiche di razionalizzazione e contenimento della spesa, soprattutto dopo la crisi del 2007-2008, hanno progressivamente ridotto gli spazi della disciplina di management pubblico all’interno dei corsi di laurea e di lauree magistrali, seppur con interessanti e significative differenze derivanti dalla legittimazione conquistata nel decennio precedente. Si sono invece sviluppati master universitari di public management, management sanitario e altri di primo e secondo livello, rivolti soprattutto a neo laureati e per executive che, indipendentemente dalla loro qualità, hanno una minore legittimazione sul piano accademico.

Al contrario la disciplina ha continuato nella sua evoluzione di approfondimento, dovuta anche alla presenza sempre più numerosa di ricercatori e studiosi del nostro paese in network internazionali quali IRSPM (International Research Society For Public Management), EGPA (European Group of Public Administration) EHMA (European Healthcare Management Association), AoM (Academy of Management), EURAM (European Academy of Management, sezioni su public management e healthcare management). Per quanto riguarda i contenuti, si è passati da contenuti di management (o NPM se si considera la denominazione internazionale) a contenuti di public governance (struttura di governo delle singole amministrazioni) a system governance (governo dei rapporti inter istituzionali), ai rapporti pubblico privato (Public Private Partnership), alle teorie del valore pubblico, alle teorie di co-production e al coinvolgimento dei cittadini nella valutazione dell’azione amministrativa. Anche per quanto riguarda i temi della contabilità pubblica vi è stata una divaricazione. A livello di disciplina vi è stata una evoluzione nella direzione della trasparenza dell’informazione e dell’accountability in senso lato, nonché nell’introduzione della contabilità economico-finanziaria dei principi contabili e del bilancio consolidato. La normativa ha invece privilegiato l’uso della contabilità per fini di contenimento della spesa, di armonizzazione delle informazioni a livello nazionale ed europeo. Le due tendenze non sono di per sé divergenti ma si po’ dire che la finalità di controllo macro economico ha penalizzato la tipica funzione della contabilità come espressione di autonomia gestionale e di supporto al miglioramento delle scelte a livello di singola amministrazione. Il modello logico, secondo cui l’equilibrio di sistema è finalità prioritaria che si persegue ponendo vincoli all’autonomia delle singole amministrazioni ha prevalso sul modello aziendale, secondo cui efficacia, efficienza ed economicità delle singole amministrazioni sono condizione per l’equilibrio del sistema nel lungo periodo. Le esigenze di controllo della spesa di breve periodo hanno prevalso sull’esigenza di perseguire dal basso un migliore equilibrio tra quantità e qualità dei servizi e risorse impiegate. In questa sede, peraltro, non si intende esprimere una valutazione di merito ma si propone una interpretazione del fenomeno.

Oggi il settore pubblico si trova di fronte a quattro grandi sfide che, utilizzando la terminologia dell’economista Schumpeter e di studi di management proposti a metà degli anni ’90, si possono definire disruptive innovation:

– Grave e probabilmente irreversibile crisi delle forme tradizionali (per il mondo occidentale) della rappresentanza politica, che non sembra essere bilanciata da nuove forme di rappresentanza (in questo senso il livello di astensione alle elezioni è un segnale rilevante di questa realtà);

– Desiderio di protagonismo dei cittadini (tramite rete e social network) che potrebbe riempire di contenuti e comportamenti reali le teorie sulla co-produzione (per dare ad essa sviluppi positivi occorre far leva sulla diffusione della cultura dell’interesse pubblico);

– Nuove tecnologie applicate ai servizi (trasparenza e controllo sociale);

– Possibile ripresa delle assunzioni con una quota maggiore di giovani motivati (in questo caso si pone l’esigenza di forti investimenti in formazione, finalizzata anche a favorire il passaggio intergenerazionale delle competenze all’interno delle amministrazioni).

Recentemente in alcuni convegni ho sentito affermare che “il management pubblico ha fallito”. Ritengo che al riguardo sia più opportuno usare la metafora del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Il bicchiere mezzo pieno rappresenta il fatto che alcuni concetti quali efficienza, economicità, valutazione dei risultati, trasparenza dell’informazione sono ormai entrati nella cultura dell’amministrazione. Purtroppo la forza di questi concetti in molti casi è stata indebolita proprio dal loro recepimento in normative e dal fatto di averli resi “obbligatori”, ciò ha stimolato molte volte il rispetto solo formale e la debolezza di implementazione. Il bicchiere mezzo vuoto può essere considerato proprio il fatto che gli strumenti di management siano stati in molti casi rifiutati o che gli strumenti di management siano stati proposti come “risolutivi” delle problematiche dell’amministrazione. Più che parlare di fallimento del management è opportuno proporre per il futuro una prospettiva nella quale per un buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche occorre trovare un equilibrio tra principi di legalità (diritto costituzionale amministrativo), legittimità e credibilità politica (ripensamento delle forme di partecipazione delle persone), equilibrio della finanza pubblica (necessaria per mantenere la legittimità e la credibilità del paese a livello internazionale e nei confronti dei mercati finanziari), autonomia e responsabilità gestionale delle singole amministrazioni (modello aziendale o di management pubblico). Poiché la realtà è unitaria e complessa occorre evitare il rischio di voler porre quale disciplina al centro del sistema ma occorre porsi nella prospettiva di una reale interdisciplinarità che deve aiutare a governare un fenomeno complesso.

Le linee di intervento per innovare la PA

In concreto, si possono proporre alcune linee di intervento. La prima azione per promuovere, favorire, sostenere il rinnovamento è quella di investire in formazione a tutti i livelli, per diffondere un diverso atteggiamento nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Le imprese si sono sviluppate nel XX secolo, poiché vi sono stati forti investimenti nella formazione e nello sviluppo della cultura di imprenditorialità e di management, mentre, con riguardo all’amministrazione pubblica, la formazione relativa al settore pubblico, in quasi tutti i paesi del mondo, ha riguardato gli aspetti della politica (scienza della politica e sociologia), del diritto, delle politiche macroeconomiche, delle tecnologie nei diversi settori di attività, ma in modo marginale i contenuti di tipo aziendale-manageriale.

Una seconda azione consiste nel promuovere e attuare una trasparenza reale ed effettiva. Essa non deve essere intesa come oggi è intesa in Italia e in molti altri paesi, nel senso che tutte le informazioni sulla amministrazione pubblica e sul suo funzionamento interno devono essere disponibili. Trasparenza significa rendere disponibili a diversi soggetti interni ed esterni informazioni che consentono di svolgere in modo appropriato le rispettive funzioni. Un modo per non essere trasparenti è quello di non dare nessuna informazione. L’altro modo è quello di dare tantissime informazioni non organizzate, azione che rende quasi impossibile trovare le informazioni utili.

La terza azione consiste nel dare concretezza al sempre conclamato principio della semplificazione e dello snellimento delle procedure amministrative. Ciò può avvenire introducendo un criterio che si potrebbe definire legal(law) compact. Mentre il fiscal compact, introdotto in Costituzione a seguito di accordi europei, impone il vincolo di non superamento di alcuni parametri (per esempio il 3% di deficit rispetto al PIL o ad altri obiettivi concordati), il (legal-law) compact consiste nell’imporre una regola secondo cui quando si approva una nuova legge (decreto, articolo di legge) occorre indicare un certo di numero di leggi (decreti o articoli di leggi) da cancellare. Se, per esempio, si prevedesse un rapporto 1:20 o 1:50, si avrebbe la ragionevole speranza di ottenere in tempi brevi una drastica riduzione delle decine di migliaia di norme che regolano l’amministrazione pubblica italiana (secondo fondate stime).

Un quarto intervento consiste nel garantire una continuità di assunzioni di giovani nelle amministrazioni pubbliche, il che consentirebbe l’introduzione di conoscenze, idee, comportamenti, atteggiamenti innovativi. Purtroppo negli ultimi anni l’applicazione delle regole del fiscal compact ha impedito all’Italia di garantire questo flusso graduale. L’inserimento con forme di precariato e con discontinuità impedisce la diffusione dell’innovazione. Poche persone con idee innovative sono facilmente contaminate dalla cultura tradizionale e a loro volta diventano diffusori di una cultura tradizionale. Un flusso continuo invece può garantire quella che recenti studi qualificano come “alleanza intergenerazionale”, nel senso che persone più anziane sono portatrici di conoscenze basate sull’esperienza (con aspetti positivi e negativi), mentre le persone più giovani garantiscono conoscenze diverse e, perciò, sfidanti. L’amministrazione tradizionale è caratterizzata da una omogeneizzazione su forme tradizionali di gestione, organizzazione e rilevazione che costituisce una barriera negativa, spesso insuperabile, nei confronti dell’innovazione. La diversità delle conoscenze, competenze, capacità, consentita da un flusso continuo di inserimenti, favorisce invece l’abbattimento di queste barriere e l’apertura al nuovo. Si tratta di una condizione simile alla biodiversità in natura che favorisce l’evoluzione.

Un quinto intervento consiste nell’introduzione in modo esteso di sistemi di valutazione a tutti i livelli. Valutazioni consolidate nella cultura aziendale di management (di appropriatezza, di qualità dei servizi, di efficienza dei processi, di costi, di rapporti qualità-costo o benefici costi, di soddisfazione degli utenti dei servizi, ecc.), ma anche valutazioni innovative quali possono essere quelle di impatto delle politiche pubbliche. Queste ultime, tuttavia, dovrebbero essere intese in modo diverso da come sono presentate nella maggior parte degli studi. Gli studi aziendali, ancor più di quelli di management, suggeriscono che la valutazione delle politiche dovrebbe riguardare gli effetti che esse hanno sui comportamenti delle aziende. Oggi quasi sempre le valutazioni delle politiche vengono fatte con strumenti che considerano ancora le aziende come scatole nere che funzionano nello stesso modo, o che funzionano come nel passato. Mi permetto di suggerire che sarebbe utile per i responsabili delle politiche economiche conoscere più a fondo le aziende e le logiche del loro comportamento.

Un sesto intervento consiste nella specificazione della logica del principio di valutazione. Occorre introdurre, rafforzare e diffondere anche nelle amministrazioni pubbliche i metodi e i sistemi di valutazione del merito ai fini di progressione economica e di carriera. Sono note anche nel mondo delle imprese private le difficoltà ad adottare sistemi equilibrati di valutazione del merito, che non è mai oggettiva ma è collegata alle strategie delle aziende. Tuttavia, non sono più sostenibili amministrazioni pubbliche nelle quali sia presente un appiattimento delle remunerazioni, le progressioni di carriera legate all’anzianità, un concetto di merito e di professionalità legato alla conoscenza di leggi, regolamenti, procedure, tecnologie. Occorrono sistemi in grado di differenziare le competenze tecnico-specialistiche dalle competenze gestionali, organizzative, manageriali.

Un settimo intervento consiste nel rafforzare la comunicazione a tutti i livelli. Molti sostengono che nel mondo dell’informazione e dei social media è più importante comunicare che non fare. Personalmente non condivido questa affermazione, ma riconosco che essa ha indubbiamente un solido fondamento nell’esperienza di tutti i giorni. Nel lungo periodo è sicuramente più importante fare bene, fare le cose giuste nel modo giusto, ma è altrettanto importante comunicare bene, nel modo giusto, in tempo reale. Poiché il tempo lungo è una successione di tempi brevi, occorre trovare un bilanciamento, quindi anche l’amministrazione oltre a fare le cose giuste nel modo giusto, a rinnovarsi, deve imparare a comunicare bene, tempestivamente, nel modo più opportuno ed efficace e, soprattutto, deve dedicare risorse a questa attività. In mancanza di una attenta comunicazione difficilmente sarà possibile superare l’asimmetria tra valutazioni di breve (derivanti da criteri puramente finanziari) e valutazioni di lungo periodo.

Un ottavo intervento consiste nell’entrare nel mondo dei big data. L’amministrazione pubblica è detentore e produttore di un numero rilevante di dati riguardanti i cittadini, le famiglie, le imprese, le istituzioni/organizzazioni non profit, le infrastrutture materiali e immateriali di ogni tipo, l’utilizzo dei servizi pubblici (origine e destinazione del movimento di persone o di merci ecc.). Tuttavia, mentre le imprese e i soggetti privati si stanno dotando di strumenti per “estrarre” dai big data le informazioni utili per le proprie attività, le amministrazioni pubbliche appaiono in grave ritardo rispetto alla loro capacità di diventare utilizzatori delle proprie informazioni e di quelle prodotte da altri soggetti ai fini del proprio miglioramento. Per entrare nel mondo dei big data non sono sufficienti le tecnologie, è necessario capire bene quali informazioni servono per quali obiettivi e finalità.

1. È. Borgonovi, L’economia aziendale negli istituti pubblici territoriali, Giuffrè, 1973; E. Borgonovi, L’impresa Pubblica, Giuffrè, 1979; G. Marcon, Bilancio, programmazione e razionalità delle decisioni pubbliche, Franco Angeli, 1978.

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