Gli studi sulla pubblica amministrazione in Italia

di Bernardo Giorgio Mattarella
La pubblica amministrazione, in Italia, non è l’oggetto specifico di nessun raggruppamento scientifico-disciplinare o settore concorsuale. Gli studiosi della pubblica amministrazione sono inquadrati ora tra i giuristi, ora tra i politologi, ora tra gli economisti, ora tra gli ingegneri. [...]

di Bernardo Giorgio Mattarella – Università LUISS Guido Carli

Lo statuto universitario delle scienze amministrative

L a pubblica amministrazione, in Italia, non è l’oggetto specifico di nessun raggruppamento scientifico-disciplinare o settore concorsuale. Gli studiosi della pubblica amministrazione sono inquadrati ora tra i giuristi, ora tra i politologi, ora tra gli economisti, ora tra gli ingegneri.

Dal punto di vista ministeriale, quindi, non ci sono studiosi dell’amministrazione, ci sono solo studiosi dell’una o dell’altra materia, che possono occuparsi dell’amministrazione. La scienza dell’amministrazione, come disciplina autonoma, è esistita per un breve periodo nel diciannovesimo secolo, per poi essere accorpata al diritto amministrativo, del quale è stata considerata a tratti quasi alla stregua di una sorella minore, fino a scomparire di fatto.

Questa debolezza sul piano degli ordinamenti universitari si riflette sulla didattica. Esistono corsi di laurea in scienze dell’amministrazione, per lo più presso dipartimenti di scienze politiche, per loro natura interdisciplinari. In questi corsi, in effetti, spesso si insegna poca scienza politica: gli insegnamenti sono in prevalenza giuridici, economici e storici. La scienza dell’amministrazione è invece trascurata dai dipartimenti di giurisprudenza, per via della rigidità dei relativi ordinamenti didattici e per via del purismo spesso predicato dai giuristi, su cui tornerò più avanti.

Gli effetti degli ordinamenti universitari si producono anche sui corsi di studio post lauream. Vi sono numerosi dottorati e master dedicati alla pubblica amministrazione, che raramente riescono a essere interdisciplinari: singoli approcci disciplinari, soprattutto quello giuridico o quello economico, tendono a connotare fortemente questi corsi.

Una certa interdisciplinarità si registra nei corsi di formazione iniziale dei dipendenti pubblici, in cui i due gruppi di discipline appena menzionati – diritto ed economia – tendono a prevalere. Minore attenzione è dedicata, per esempio, alla statistica, all’informatica, alla scienza politica.

Vi sono, dunque, numerose esperienze di insegnamento di scienze amministrative, ma vi sono pochi studiosi della pubblica amministrazione, che il sistema universitario non riconosce come tali. Se ne potrebbe dedurre che la pubblica amministrazione non è una scienza, ma una tecnica, che deve essere insegnata dagli operatori e che si presta poco all’approfondimento scientifico. Vari elementi, tuttavia, smentirebbero questa conclusione: da un lato, in numerosi altri paesi occidentali vi è, anche formalmente, una scienza dell’amministrazione; dall’altro, anche in Italia vi è un’ampia letteratura scientifica sulla pubblica amministrazione.

Gli studi sulla pubblica amministrazione, infatti, non sono mai mancati. C’è un’ampia letteratura sui sistemi amministrativi e sulle riforme amministrative, ci sono riviste specializzate (che, peraltro, sono a loro volta condizionate da un approccio disciplinare dominante), ci sono manuali di scienza dell’amministrazione (che tuttavia tendono spesso a privilegiare la descrizione dei modelli e degli assetti organizzativi, trascurando la dinamica dei poteri e delle procedure), ci sono luoghi di ricerca, che hanno sviluppato una buona tradizione (La Sapienza a Roma, dove per un certo periodo, soprattutto grazie all’iniziativa di Sabino Cassese, hanno prodotto ricerche importanti anche il Formez, il Cnr e poi il Consorzio Mipa, la Spisa a Bologna, l’Isap a Milano).

Scienze amministrative e scienze giuridiche

Molte delle iniziative appena menzionate si devono ai giuristi. Giuristi sono, all’origine, molti degli studiosi della pubblica amministrazione, ora inquadrati in altri settori scientifico-disciplinari. Ciò non può stupire, perché – come si è già osservato – lo studio e l’insegnamento della scienza dell’amministrazione sono tradizionalmente legati, in Italia più che in altri paesi, a quelli del diritto amministrativo e ancora oggi una parte preponderante degli studi sull’amministrazione si devono ai giuristi.

La scienza dell’amministrazione ha sempre avuto, per così dire, un problema identitario, legato al suo rapporto con il diritto amministrativo, e molte delle definizioni che di essa sono state proposte servivano a distinguerla da esso: per Romagnosi la scienza dell’amministrazione era lo studio non giuridico della pubblica amministrazione; la si è poi concepita come studio dell’attività sociale della pubblica amministrazione, in contrapposizione a quella giuridica; come tecnica applicativa, in contrapposizione alle norme da applicare; come studio dell’amministrazione reale, in contrapposizione a quella risultante dalle norme; come studio delle riforme amministrative, in contrapposizione alla disciplina vigente.

Emblematica, rispetto al rapporto tra le due discipline, è la vicenda del convegno di Varenna, tradizionale appuntamento annuale degli studiosi e degli operatori del diritto amministrativo. Esso si chiama convegno di “studi amministrativi” e nacque effettivamente come convegno interdisciplinare di scienza dell’amministrazione. Nella prima edizione del convegno, nel 1955, Gianfranco Miglio, a sua volta giurista di estrazione, chiamò a raccolta studiosi di diverse materie, svolse un’ampia relazione introduttiva, incentrata sui rapporti tra scienza dell’amministrazione e diritto amministrativo, e chiese a Massimo Severo Giannini, giurista tra i più grandi e tra i più aperti allo studio di altre discipline, di svolgerne un’altra. Ma il convegno è poi diventato un convegno squisitamente giuridico, anche se negli ultimi anni sono state introdotte alcune relazioni di economisti (soprattutto per merito del Consiglio di stato, il cui servizio studi, con lungimiranza, ha anche avviato studi interdisciplinari sul contenzioso amministrativo).

I giuristi, dunque, si sono sempre fatti carico dello studio della pubblica amministrazione, ma lo hanno fatto con i loro limiti e – come osservato da Sabino Cassese venticinque anni fa sul Foro italiano – con un certo distacco o disagio. Il distacco e il disagio erano dovuti alla professata adesione al metodo giuridico, risalente a Vittorio Emanuele Orlando, che escludeva la contaminazione con altre discipline. Orlando stesso fu il primo a tradire questo metodo, che è stato continuamente tradito da tutti quegli ottimi studiosi di diritto amministrativo che, oltre a impegnarsi su questioni giuridiche, si sono preoccupati del concreto funzionamento delle amministrazioni, dell’attuazione delle norme, delle prospettive di riforma. I giuristi tendono spesso a studiare la pubblica amministrazione e non solo il diritto che la regola, pur affermando che questo studio non è loro compito.

L’esigenza di interdisciplinarità

L’ipoteca della scienza del diritto sulla scienza dell’amministrazione è vissuta con disagio, in Italia come in altri paesi, anche dagli altri studiosi della pubblica amministrazione, di estrazione diversa, la cui reazione consiste spesso nell’imputare all’approccio giuridico tutti i mali dell’amministrazione (il formalismo, la mentalità burocratica, la disattenzione per i risultati) e nel tentativo di escludere radicalmente l’approccio giuridico dallo studio della materia. È un atteggiamento estremista e poco costruttivo. Credo che gli studiosi dell’amministrazione debbano essere grati ai giuristi per il loro contributo, nella consapevolezza che il loro approccio è importante ma insufficiente e che lo studio dell’amministrazione richiede competenze miste.

Non c’è dubbio, infatti, che, lo studio solo giuridico dell’amministrazione produce una conoscenza insufficiente dell’amministrazione stessa e dei suoi problemi e, quindi, una cattiva formazione dei dipendenti pubblici e un inadeguato governo delle amministrazioni. È indubbiamente vero che i pubblici dipendenti hanno spesso una mentalità orientata alle norme piuttosto che ai risultati, come se il loro compito fosse di applicare la legge invece che di risolvere i problemi (rispettando la legge). Spesso sono capaci, per esempio, di svolgere correttamente un complicatissimo procedimento contrattuale, ma non di valutare correttamente se il bene o il servizio da acquisire è realmente utile. O di svolgere senza vizi di legittimità una procedura concorsuale, che serve a selezionare il candidato che ha studiato di più o frequentato il maggior numero di corsi di formazione, che non è necessariamente il migliore. Peraltro, il problema ha a che fare non solo con l’estrazione culturale dei dipendenti pubblici (che in gran parte non sono laureati in giurisprudenza), ma anche con fattori come l’eccesso produzione normativa e di giurisdizione, le distorsioni dei meccanismi di responsabilità e la sovrapposizione e la lentezza dei controlli.

Tra gli effetti negativi delle carenze nello studio dell’amministrazione vi sono l’inadeguata disponibilità di determinate professionalità e l’insufficiente conoscenza dei problemi. Per quanto riguarda le professionalità, per esempio, mancano esperti delle politiche pubbliche, che sarebbero necessari nelle grandi amministrazioni come la Presidenza del Consiglio e le regioni; e mancano i valutatori, necessari per far funzionare i sistemi di misurazione dei rendimenti delle amministrazioni. Per quanto riguarda le conoscenze, spesso nelle amministrazioni nessuno si preoccupa di raccogliere dati sugli uffici, sul personale, sulle procedure, sulle funzioni: mancano, per esempio, dati sulla corruzione, sulle conferenze di servizi, sulle richieste di accesso ai documenti amministrativi, sulla durata dei processi, sulla mobilità dei dirigenti, sugli amministratori delle società pubbliche. In questo modo, le scelte legislative e regolamentari vengono fatte spesso senza cognizione di causa.

Le pubbliche amministrazioni sono organizzazioni estremamente complesse, inserite in sistemi istituzionali a loro volta complessi, con dinamiche peculiari. Per studiarle e per governarle, servono diverse conoscenze e competenze. Questa Rivista nasce dallo sforzo di metterle insieme, al servizio di studiosi e operatori, per contribuire al miglioramento dello studio e del funzionamento del sistema amministrativo. La sua ispirazione non è lontana dalla chiamata alle armi fatta da Gianfranco Miglio nel già citato intervento al convegno di Varenna del 1955: “bisogna cioè che, invertendosi la spinta centrifuga del particolarismo dottrinale, l’amministrazione ritrovi una sua scienza unitaria. E siamo con ciò di fronte non solo ad uno dei problemi per loro natura veramente supremi nel campo dei rapporti fra necessità del divenire storico e libertà dello studioso, ma insieme anche all’aspetto meno contingente delle ragioni che hanno riunito qui – quasi chierici di diverse confessioni, ansiosi di ricostituire l’unità della loro antica fede – giuristi, economisti, esperti dell’organizzazione aziendale”.

Riferimenti bibliografici

Cassese S. (1992), Lo smarrimento di Oreste e la furia delle Eumenidi: la vicenda intellettuale della scienza dell’amministrazione, in Il Foro italiano, 1992, n. 2, V .

Miglio G. (1955), Le origini della scienza dell’amministrazione, in La scienza della amministrazione, atti del I Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna – Villa Monastero, 26-29 settembre 1955, Milano, Giuffrè, 1957, ora in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2012, n. 2.

 

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